I temi che riguardano la difesa della vita umana e della famiglia naturale sono decisivi per la società. Sono però temi fortemente polarizzanti, soprattutto oggi, e sono a volte causa di scontri anche violenti. Tuttavia ci sono alcune realtà che affrontano a viso aperto questi temi, lanciando una sfida che ormai non più essere lasciata cadere nel vuoto. Oggi incontriamo una di queste realtà: i Giuristi per la Vita. Abbiamo come ospite il loro presidente, l’avvocatoGianfranco Amato.
Avvocato Amato, Giuristi per la Vita è una realtà giovane – è nata nel 2013 – ma è già attiva in tutta Italia. Dal vostro sito Internet si legge che di essa fanno parte giuristi, ma anche filosofi, docenti e studenti. Può spiegarci, in breve, come siete nati e qual è il vostro scopo?
Giuristi per la Vita non è un’associazione classica. È una sorta di task force, un team operativo, un gruppo di lavoro costituito da avvocati, magistrati e docenti universitari. Ha come finalità quella di difendere il diritto della vita in senso ampio, cioè non soltanto legato all’esistenza biologica. In questo concetto comprendiamo il diritto alla libertà, il diritto alla famiglia, il diritto all’educazione: i cosiddetti tre principi non negoziabili. La caratteristica è quella di difendere il diritto alla vita, all’educazione, alla famiglia, anche nel piano in cui questo diritto viene interpretato ed applicato, cioè nelle aule giudiziarie. La caratteristica di Giuristi per la Vita è quella di essere una presenza operativa. Al nostro attivo abbiamo, ad esempio, azioni legali, alcune denunce penali, ricorsi al Tar, esposti. Abbiamo capito che il fronte politico non è più sufficiente: si possono fare anche delle leggi, come la Legge 40, poi però queste leggi vengono sistematicamente smantellate sul fronte giudiziario. Questo fronte è sguarnito, noi pensiamo di presidiarlo.
Difendere la vita umana e la famiglia naturale, quella fondata sull’unione tra un uomo e una donna, sta diventando sempre più difficile, soprattutto sul piano sociale e culturale. Quali rischi intravede per il prossimo futuro?
I rischi sono altissimi, perché la famiglia è la cellula di una società. È un elemento imprescindibile per il vivere civile. Nel momento in cui la legge, l’ordinamento, la politica hanno la pretesa di modificarla, di cambiarla, stanno modificando una cellula; noi sappiamo che se la cellula rischia di diventare tumorale poi tutto il corpo va in metastasi, per cui è veramente molto pericolosa l’operazione che si sta facendo. Ricordiamo sempre che la famiglia e il matrimonio non sono il frutto di una cultura, di una filosofia, neanche di una chiesa. È un dato che appartiene all’essenza ontologica dell’uomo, fin dal Neolitico – ricordiamo la Famiglia di Eulau -, tanto è vero che la nostra Costituzione, all’articolo 29, utilizza un verbo interessante. Dice: “la Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”; non dice ‘istituisce‘ la famiglia, perché la famiglia resta un dato pre-politico e pre-giuridico, cioè viene prima dello Stato e prima dell’ordinamento giuridico. È un dato di cui bisogna tener conto, è un dato oggettivo di natura e non si può modificare attraverso lo strumento normativo. Tra l’altro, la famiglia è entrata nei documenti giuridici soltanto dopo un determinato momento storico, dopo la Seconda guerra mondiale. Prima, essendo appunto un dato pre-politico e pre-giuridico, non era previsto in nessun documento né nazionale né internazionale. Perché allora si è fatto dopo la Guerra? Perché l’esperienza drammatica dello tsunami bellico aveva dimostrato come, dopo la devastazione della guerra, la famiglia fosse stato l’unico elemento che aveva retto in una società distrutta e l’elemento da cui ricominciare per ricostruire il vivere civile. Ecco la ragione per cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e le varie costituzioni europee – quella tedesca, quella italiana, ecc. – hanno preso atto dell’esistenza di questo imprescindibile, oggettivo dato di natura e lo hanno ringraziato per la funzione che ha svolto. Quindi non si può pensare di manipolarlo, anche perché – come dico spesso – se noi arrivassimo all’assurdo di definire il matrimonio e la famiglia come un dato manipolabile e dovessimo far decidere al Parlamento, a maggioranza, che cos’è la famiglia e il matrimonio, nessuno mi ha ancora spiegato perché il Parlamento non potrebbe paradossalmente arrivare a dire che l’unione di cinque donne che si amano fra di loro può essere una famiglia; o il matrimonio può essere composto da tre uomini e tre donne; oppure – come ho detto al Liceo Cavour nel mio confronto con l’on. Scalfarotto – arrivare addirittura al paradosso che il matrimonio sia l’unione tra un uomo e un cane, se consideriamo l’elemento affettivo che unisce gli uomini agli animali. In realtà, l’errore che si sta facendo è duplice. Da una parte si ritiene che soltanto il sentimento, l’amore, sia l’unico criterio per definire il matrimonio e la famiglia, e questo non è, perché io ricordo, ad esempio, che il matrimonio e la famiglia non tengono conto solo del fattore sentimentale ed emotivo, ha altri fattori: la bipolarità sessuale, l’istinto procreativo, la finalità educativa, appunto perché, se noi tenessimo da conto soltanto l’elemento del sentimento arriveremmo al paradosso di cui parlavo prima. Il secondo errore è quello di far definire a maggioranza da un parlamento che cos’è la famiglia e il matrimonio, cioè un dato che appartiene alla natura dell’uomo e che non può essere modificato. In gioco ci sono due fattori: uno è la stessa tenuta del tessuto sociale, perché se viene meno la cellula viene meno tutto; il secondo è una questione di libertà, perché come diceva il grande scrittore cattolico Chesterton, la famiglia è un’istituzione anarchica – lui amava definirla così -, perché è l’ultimo luogo dove l’uomo esprime la sua libertà; diceva “io a casa mia posso anche girare in mutande”. È quel cuscinetto, quello spazio di libertà che c’è fra l’uomo e lo Stato, il potere. In questo senso il potere è sempre tentato di eliminare questo contesto proprio per poter manipolare l’uomo. L’individuo senza la famiglia come luogo di libertà diventa un soggetto facilmente manipolabile dal potere.
Concludiamo con uno sguardo fiducioso verso il futuro. I temi fondamentali, malgrado la loro complessità, non lasciano indifferente la gente. Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un fiorire di questo impegno comune. Pensiamo solo a realtà come La Manif pour Tous, le Sentinelle in Piedi e i circoli Voglio la Mamma, che nel solco tracciato dall’ultimo libro di Mario Adinolfi, stanno sorgendo in ogni angolo del Paese. Quale prospettiva può delinearsi secondo Lei?
Io mi rendo conto – anche partendo dalla mia piccola esperienza personale delle conferenze che quasi ogni sera faccio in giro per l’Italia – che il fattore determinante è l’informazione. La stragrande maggioranza degli italiani non ha la più pallida idea di cosa stia succedendo a livello normativo, anche con il ddl omofobia, riguardo alla libertà di pensiero, ma soprattutto alla propaganda gender nelle scuole. Questa manipolazione è pericolosissima. La prima operazione che bisogna fare è quindi quella dell’informazione. Stiamo vivendo davvero quel clima che c’era sotto il regime del Terzo Reich, per cui molti alla fine se ne uscirono dicendo “noi non ce ne siamo accorti, noi non sapevamo”. Tutte queste iniziative, di cui parlava prima, contribuiscono ad un’opera importantissima, che è quella dell’informazione. Le assicuro che, per esperienza personale, quando le persone sono informate la reazione c’è. Lo vedo nelle conferenze che faccio: il novanta per cento delle persone che partecipa, una volta che apprende, soprattutto sul piano dell’educazione, cosa sta avvenendo ai più piccoli, ha una presa di coscienza, una reazione, una voglia e capacità di mettersi in gioco che è veramente interessante. Non è vero che siamo tutti morti, la gente si appassiona: quando si toccano i temi della libertà, dell’educazione, la gente – indipendentemente dal proprio orientamento politico o dal proprio credo religioso, se ce l’ha – la gente si muove e si mobilita, perché esiste ancora questa sensibilità e questa voglia di libertà. È uno dei fattori insopprimibili dell’essere umano ed è la speranza che noi abbiamo per questo Paese.
Intervista a cura di Andrea Tosini
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