"Kramer Contro Kramer"-la famiglia prima del divorzio
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Giorgio La Pira |
Lo testimoniano i numerosissimi interventi in argomento, a cominciare da quando, ancora studente, scrive a Salvatore Pugliatti informandolo delle “pregevoli conseguenze” che la sua tesi di laurea sul “carattere costituzionale della Familia in diritto romano” avrebbe potuto avere per la concezione stessa dello Stato.
Nel 1938, in occasione del V
Congresso nazionale di Studi Romani, inserisce la famiglia, originata dal
matrimonio, tra i tre “fondamenti naturali della convivenza umana”, tra le tre
“linee essenziali del sistema”.
Nel ‘Codice di Camaldoli’, alla
cui stesura collabora nel 1945 insieme ad altri studiosi, si rinvengono i primi
accenni al matrimonio quale “unione una ed indissolubile”: “il divorzio” — si
legge — “come scioglimento del matrimonio per umana volontà od autorità è
inammissibile in qualsiasi ordinamento giuridico come contrario alla legge
naturale e divina e ai fini stessi del matrimonio”.
Sempre nel 1945, nell’articolo
‘Individuo e società’, scrive di una inclinazione naturale dell’uomo al legame
nuziale e alla conseguente formazione della famiglia.
Del 1946 sono da ricordare gli
interventi in tema di matrimonio alla I Sottocommissione dell’Assemblea
Costituente, interventi il cui contenuto La Pira ripropone nel 1954 nel saggio
‘Per una architettura cristiana dello Stato’.
Infine, nel 1973, ad un anno di
distanza dal referendum sul divorzio, La Pira, rispondendo ad alcuni giovani di
‘Prospettive’, definisce “la famiglia ed il matrimonio che la fonda” come un
argomento “che investe non un problema marginale «socio–politico» della
politica italiana, ma la «corrente di fondo» (…) della storia intiera della
Chiesa e dei popoli!”.
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2. Su due dei numerosi contributi, ora sommariamente elencati, ci sembra opportuno fermare la nostra attenzione: due interventi, intrinsecamente legati l’uno all’altro, nei quali La Pira manifesta la sua concezione del matrimonio e, in particolare, di quello che definisce il “naturale” connotato dell’unione nuziale, ovvero l’indissolubilità del legame. Si tratta dell’intervento all’Assemblea Costituente e di quello a favore del referendum abrogativo della legge sul divorzio.
Di questi, prima di addentrarci
nell’analisi contenutistica, ripercorreremo in breve la vicenda. Iniziamo dalla fattiva presenza di La Pira
alla I Sottocommissione dell’Assemblea Costituente. Nella seduta del 7 novembre 1946, l’onorevole
democristiano si fa promotore della seguente formula: “La legge regola la
condizione giuridica dei coniugi allo scopo di garantire l’indissolubilità del
matrimonio e l’unità della famiglia”.
Sul punto, è bene sapere che
tra le ragioni che muovono La Pira a sostenere la menzione
dell’indissolubilità, vi è la convinzione che questo preciso riferimento si
imponga per porre limiti alla volontà del legislatore.
La formula lapiriana incontra
la ferma opposizione di alcuni onorevoli, opposizione che determina la
sospensione della seduta da parte del Presidente allo scopo di dare modo ai
Commissari di trovare un compromesso. L’intesa sperata, tuttavia, non viene
raggiunta e la discussione rinviata.
Nella seduta del 13 novembre,
preso atto che il tentativo di arrivare ad una conciliazione è fallito, si
riapre la discussione, al cui termine viene messo ai voti un ordine del giorno
proposto dall’on. Togliatti, ordine volto a precisare l’inopportunità di
trattare la questione dell’indissolubilità nel testo costituzionale. La proposta non passa.
Respinta la proposta di
Togliatti, è messa ai voti ed approvata, con nove voti favorevoli, due contrari
e tre astenuti, la formula avanzata da La Pira.
Nella seduta dell’Assemblea del
23 aprile ’47, benché il testo sia stato modificato dal Comitato di redazione
in seguito alla presentazione di alcuni emendamenti, il riferimento ‘lapiriano’
all’indissolubilità è rimasto. Il nuovo
articolo, infatti, recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia
come società naturale fondata sul matrimonio indissolubile”.
Segue un acceso dibattito il
quale ha fine con la messa ai voti di una proposta volta a sopprimere, nel
testo appena visto, dopo il sostantivo ‘matrimonio’ l’aggettivo
‘indissolubile’. L’emendamento, in una votazione
avvenuta a scrutinio segreto, è approvato con 194 voti favorevoli e 191
contrari.
Dunque, l’accenno
all’indissolubilità, voluto e difeso da La Pira, per pochissimi voti non riesce
a trovare cittadinanza all’interno della Carta costituzionale.
Il convincimento lapiriano,
vivacemente contestato in sede di lavori preparatori — secondo cui al
legislatore dovesse essere data una indicazione precisa al fine di limitare la
sua volontà in questo campo, al fine cioè di impedirgli di introdurre il divorzio
—, acquista, a distanza di alcuni decenni, un indiscusso valore profetico: il
1° dicembre 1970, infatti, il Parlamento approva la legge sul divorzio.
Negli anni immediatamente
successivi, La Pira partecipa attivamente alla campagna referendaria per l’abrogazione
della legge. Tuttavia, anche in questo
caso, il tentativo a sostegno dell’indissolubilità del vincolo non trova esito
positivo: la consultazione popolare del maggio ’74 si conclude, come è noto,
con un mantenimento della legge divorzista.
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3. Detto dei due fondamentali interventi di La Pira a sostegno dell’indissolubilità del matrimonio, veniamo ad approfondirne in breve il contenuto, partendo dalla distinzione, dallo stesso studioso enunciata, tra motivi di carattere religioso e motivi di carattere ‘laico’.
Nel corso dei lavori della I
Sottocommissione, infatti, la proposta lapiriana, favorevole, come abbiamo
detto, ad introdurre in Costituzione il riferimento all’indissolubilità, è
accusata di essere espressione di principi religiosi, cioè di principi che
affondano le proprie radici esclusivamente nella dottrina cattolica.
Si tratta di un rilievo ben
presente a La Pira il quale è consapevole della necessità che il principio
religioso, da lui interiormente condiviso, trovi, per poter ‘passare’
nell’ambito giuridico, l’alleanza di altre ragioni.
In questa prospettiva, La Pira
è lucido nel separare il principio teologico del “quos Deus conjunxit, homo
non separet”, richiamato nella veste di credente, dai risultati, che egli
adduce nella veste di politico, di studi biologici, fisiologici, sociologici,
legislativi e storici i quali deporrebbero a favore dell’indissolubilità del
matrimonio quale elemento strutturale della famiglia.
I due aspetti appena visti —
religiosità da un lato, laicità dall’altro — si ramificano poi in una
quadripartizione. Per quanto riguarda
l’indissolubilità del matrimonio per motivi confessionali, La Pira separa le
ragioni “teleologiche” da quelle “bibliche”, mentre per quanto concerne
l’indissolubilità per motivi ‘laici’, La Pira distingue tra ragioni
“ontologiche” e ragioni “giuridiche”.
Lasciamo da parte i principi di
ordine religioso e soffermiamoci su queste ultime ragioni. La Pira individua anzitutto la radice
dell’indissolubilità nel fatto che il matrimonio “non è un contratto
consensuale che, come i contratti consensuali, crea tra i due contraenti
soltanto un vincolo giuridico (obbligatorio) di diritto privato: un contratto
consensuale, cioè, che nasce col consenso e che si può, perciò sciogliere col
dissenso o unilateralmente”.
Al contrario, il matrimonio è
un “atto bilaterale (marito e moglie), consensuale (…), il quale crea… un
organismo; un essere nuovo; una unità (ontologica) sociale nuova”. E successivamente ribadisce: “questo atto bilaterale
crea, perciò, non un contratto, ma… un essere nuovo (sociale); un corpus, una
unità ontologica nella quale i due fondatori reciprocamente, ontologicamente,
si integrano (duo… unum) dando così fondamento, con la filiazione, agli
ulteriori rapporti reali, alle ulteriori integrazioni ontologiche, familiari e
sociali”.
La risposta ontologica al
perché dell’indissolubilità implica poi una ragione giuridica, ovvero la
concezione “solidaristica, istituzionalistica del diritto”, secondo la quale vi
sono, in posizione intermedia tra la persona e lo Stato, delle formazioni
sociali originarie — tra cui anzitutto la famiglia scaturita dal matrimonio —,
il cui fine ultimo è quello di “servire l’uomo”.
Si tratta, come è noto, di
quella visione giuridico–pluralista che trova il proprio punto di riferimento
nel pensiero cristiano–sociale, sviluppato in particolare nel cosiddetto Codice
di Malines del 1927, negli Enunciati della Settimana di Camaldoli del
1943 e nel successivo Codice di Camaldoli del 1944. Secondo questa visione, il pieno
riconoscimento dei diritti dell’individuo non può realizzarsi se non attraverso
il contestuale riconoscimento della dimensione comunitaria in cui egli vive,
dei diritti delle comunità naturali attraverso le quali si svolge la sua
personalità.
Per questa ragione, per il
fatto di essere “base e sorgente” della famiglia, cioè atto costitutivo di una
istituzione naturale anteriore ad ogni altra, il matrimonio non rimane
confinato nello “spazio del diritto privato”, ma da questo esce per collocarsi
“nello spazio del diritto pubblico”. Le
parti, nel momento in cui decidono di unirsi in matrimonio, accettano di dare
origine ad una nuova istituzione, rinunciando alla libertà che avevano come
individui: “l’esistenza e il destino di questa fondazione, non è più nella
disponibilità dei suoi fondatori: essi non sono più liberi rispetto ad
essa”.
Concedere, pertanto, ai coniugi
la possibilità di sciogliere l’unione creata, equivarrebbe, secondo La Pira, a
tradire la concezione istituzionalistica a favore di quella individualistica, a
degradare il matrimonio da formazione sociale a contratto, da consortium a
negotiatio, cioè, in ultima analisi, a strumento dell’interesse
individualistico, dell’arbitrio della volontà.
4. Concludiamo con un accenno all’attualità del pensiero lapiriano. Abbiamo visto che l’esperienza alla Costituente e quella referendaria sono state segnate dalla sconfitta; una sconfitta che è segno, come da molti riconosciuto, di un processo sempre più marcato verso l’individualità.
È questa la ragione per la
quale il pensiero sostenuto da La Pira ci sembra in questo momento tanto
attuale. Se cioè la direzione intrapresa
è quella che porta a concepire il matrimonio “in virtù dei vantaggi che
ciascuna delle parti può trarre dal rapporto continuativo con l’altro”,
privandolo così della sua tradizionale funzione socializzante, allora appare
urgente la necessità di valorizzare la volontà di coloro i quali non
condividono una simile visione.
Forse, La Pira sarebbe oggi
ancora impegnato in prima persona in quel movimento culturale che chiede al
legislatore il diritto di poter scegliere tra un matrimonio indissolubile e un
matrimonio dissolubile (cfr. A. de
Fuenmayor, Tutela de la indisolubilidad matrimonial en un Estado
pluralista, trad. it. Ripensare il divorzio, Milano 2001; C. Cavalleri, Ripensare il divorzio,
in Studi Cattolici 492 (2002), 97; G.
Andreotti, A. Bettetini, F.
D’Agostino, F. D’Onofrio, C. Rimini, P. Vassallo, H. Corral, F. Moreno, Ripensare il divorzio,
in Studi Cattolici 493 (2002), 186 ss.; G.
Dalla Torre, F. Finocchiaro, P. Moneta, S. Salvato, Ripensare il
divorzio/2, in Studi Cattolici 494 (2002), 260 ss.; A. de Fuenmayor, Ripensare il
divorzio/3, in Studi Cattolici 496 (2002), 436 ss.; A. de Fuenmayor, Ripensare il
divorzio/4, in Studi Cattolici 497/98 (2002), 508 ss.; C. Risé, Come uscire dalla coazione
al divorzio?, in Studi Cattolici 503 (2003), 32 s.; L. Monterone, Un impegno & una
sfida (intervista con Arturo Cattaneo), in Studi Cattolici 503
(2003), 34 s.).
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