giovedì 30 novembre 2017

Presentazione del PDF a Ferrara

PdF: "la famiglia non è uno scarto"

"la famiglia: pietra d'angolo scartata" questo il tema che affronterà Mirko de Carli coordinatore nazionale del Popolo della Famiglia, in un incontro organizzato dal circolo ferrarese del  PdF. L'iniziativa, che segna il debutto in città del movimento fondato da Mario Adinolfi, si svolgerà in città Venerdì 1 dicembre alle ore 21 presso la Sala della Musica in via Boccaleone 19, ed è aperta a tutti.


venerdì 3 novembre 2017

La Massoneria vista dalla Congregazione Plenaria della Pontificia Commissione per la Revisione del Codice di Diritto Canonico (20-29 ottobre 1981)

P. Paolo M. Siano


Dal 20 al 29 ottobre 1981 si è svolta in Vaticano la Congregazione Plenaria della Pontificia Commissione per la Revisione del Codice di Diritto Canonico (C.I.C.) per discutere e votare sulla riassunzione del canone 2335 (Codex Iuris Canonici del 1917) che comminava la scomunica ai cattolici iscritti alla Massoneria o ad altra setta che cospira contro la Chiesa e contro lo Stato.   Quel canone non sarà riassunto nel nuovo C.I.C. del 1983.

È interessante notare due posizioni all’interno della Plenaria: quella minoritaria che auspica la riassunzione del can. 2335 (quindi la scomunica ai cattolici iscritti alla Massoneria), e quella maggioritaria che propone e ottiene che quel canone non sia riassunto e quindi non sia comminata la scomunica ai catto-massoni.

Propongo alcuni punti degli atti tradotti dal latino da P. Zbigniew Suchecki OFMConv. e pubblicati sulla rivista “Religioni e Sette nel mondo” del GRIS (Gruppo di Ricerca Socio-Religiosa) di Bologna, nel n° 1/2008 dedicato al tema “Chiesa Cattolica e Massoneria”.

Le principali argomentazioni della posizione maggioritaria mi sembrano false e pastoralmente imprudenti. Le riassumo così:
- Il can. 2335 non dev’essere riassunto perché altrimenti si va contro i princìpi della revisione del C.I.C. approvati dal Sinodo dei Vescovi del 1967 e da Paolo VI, i quali richiedono la riduzione delle pene “latae sententiae” a pochi casi. 
- Siccome sono vari i gradi di adesione alla Massoneria non è possibile sapere a quale grado inizi la macchinazione contro la Chiesa e se il reo, «giudice di se stesso», sappia con certezza di essere colpevole di macchinazione e quindi di essere incorso nella pena...
- Si ritiene valida l’opinione secondo cui il can. 2335 riguarda solo coloro che operano contro la Chiesa, come attesta la Notificatio della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) del 18 luglio 1974[1].

Tra i sostenitori di questa posizione:
- il P. Esteban Gomez OP (docente all’Angelicum di Roma) aggiunge che è più grave l’appartenenza al Comunismo, per cui se si inserisce la scomunica ai massoni si dovrebbe inserire anche quella ai comunisti...[2]
- Il Card. Rosalio José Castillo Lara SDB (Segretario della Pontificia Commissione per la Revisione del C.I.C.) concorda con Gomez e aggiunge che la Massoneria non è la stessa in tutte le nazioni...[3]
- Il Card. Franz König afferma che la posizione della Conferenza Episcopale Tedesca (vedi sotto) vale solo per la Massoneria di quella nazione ma non per tutte... König si appella al suddetto rescritto della CDF del 1974...[4]
- Mons. José Vicente Andueza Henriquez afferma che la Massoneria in paesi come il Venezuela convive pacificamente con la Chiesa, e che ci sono massoni «di buona fede» che non tramano contro la Chiesa ma cooperano con essa... Inoltre Mons. Henriquez sostiene che la scomunica ai massoni è inutile, non impedisce loro di avere nuovi adepti e anzi riassumerla nel nuovo C.I.C. susciterebbe «nuove inutili inimicizie». Secondo il prelato venezuelano, in America Latina il vero pericolo è il comunismo, non la Massoneria (cf. pp. 224-228) ...[5]
- Mons. Roman Arrieta Villalobos, Presidente della Conferenza Episcopale del Costa Rica, è convinto che in molte parti del mondo la Massoneria non cospira più contro la Chiesa, né apertamente, né occultamente...[6]


            Vediamo ora le principali argomentazioni della posizioni minoritaria a favore della riassunzione del can. 2335:
           
- La Conferenza Episcopale Tedesca osserva che la Chiesa ha il dovere di indicare chiaramente ai fedeli ciò che è pericoloso per la fede e «l’appartenenza di un cattolico alla massoneria scuote i fondamenti stessi della fede»[7]. Dopo circa 6 anni di colloqui con la Massoneria regolare di Germania (dichiaratamente favorevole alla Chiesa) i Vescovi tedeschi hanno compreso che l’essenza della Massoneria è dappertutto la stessa, perciò essi chiedono la riassunzione del can. 2335 nel nuovo C.I.C.  Altre Conferenze Episcopali, a differenza di quella tedesca, non hanno forse potuto conoscere fatti, documenti e rituali massonici autentici. La macchinazione contro la Chiesa avviene già a livello dei princìpi assunti dalla Massoneria. Inoltre i massoni tedeschi hanno opposto un «categorico rifiuto» ai Vescovi che volevano esaminare anche i rituali degli alti gradi superiori ai primi tre[8]. Se si lascerà alle Conferenze Episcopali il giudizio sulla Massoneria locale «si può ben immaginare a quali e quante pressioni saranno assoggettati  i Vescovi da parte di persone influenti per il loro potere o posizione sociale, o dell’opinione pubblica alla cui formazione non sono estranei i massoni»[9]. Ancora sul tema Massoneria, i Vescovi tedeschi osservano che «per la quasi totalità dei fedeli è impossibile formarsi un esatto giudizio sull’argomento. Il dovere della Chiesa è proprio questo: indicare ai fedeli dove si nascondono i pericoli per la loro fede e la loro vita cristiana»[10].

 - Il Card. Giuseppe Siri osserva: «1) Niente praticamente è mutato nel modo di procedere della setta massonica. 2) Se si obbietta da parte dell’autorità (Paolo VI) essere stato detto che le pene devono essere ridotte, rispondo: “Noi nel consigliare dobbiamo fare quelle cose che sono adatte a questo tempo”»[11].

- Il Card. Joseph Ratzinger nota che le posizioni differenti delle Conferenze Episcopali non significano che la Massoneria sia diversa in quei territori, ma che quei Vescovi non sono informati come quelli tedeschi i quali hanno invece riscontrato che all’essenza della Massoneria appartiene il relativismo tra vero e falso, tra bene e male, lo stesso relativismo che alimenta l’odierna crisi morale. Perciò la Massoneria costituisce «un pericolo straordinario» e molto «più sottile» rispetto ai comunisti[12]. Sui primi 3 gradi i massoni tedeschi erano aperti al dialogo, ma sui 30 gradi superiori essi custodiscono «una disciplina arcana organizzata in modo più che severissimo»[13]. Ratzinger ritiene che «l’opinione» del P. Gomez è «fatta con una certa leggerezza, la quale non corrisponde alla gravità della questione e del lavoro da noi compiuto»[14].

- Il Card. Pietro Palazzini replica così all’obiezione «unanime» dei Consultori della Pontificia Commissione per la Revisione del C.I.C. : la riassunzione del can. 2335 non vìola i princìpi approvati dal Papa e dal Sinodo dei Vescovi del 1967; la riduzione delle pene non implica l’eliminazione di tutte le pene; tra i Vescovi tedeschi che chiedono la riassunzione del can. 2335 ce ne sono alcuni che presero parte a quel Sinodo ma che edotti dall’esperienza comprendono la necessità di mantenere la scomunica ai massoni poiché il loro “credo” è «apostasia almeno implicita», cioè elimina la verità e la religione rivelata pur accogliendo i cattolici come «utili idioti». Nella pastorale bisogna evitare gli equivoci e mostrare la via sicura alla salvezza. La Massoneria è più pericolosa del comunismo poiché questo è nemico esplicito della Chiesa, ma la Massoneria è più subdola[15].

* * * * *

Sulla scia della posizione del Card. König, di Mons. Henriquez, ecc., ci sembra di poter collocare il “Commento al Codice di Diritto Canonico” pubblicato nel 1985 dalla Pontificia Università Urbaniana (PUU), poi ripubblicato nel 2001 dalla Libreria Editrice Vaticana (LEV) con la Presentazione del Card. Mario Francesco Pompedda, l’allora Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.  In entrambe le edizioni (PUU, pp. 806-807; LEV, p. 814) curate da Mons. Pio Vito Pinto, sul tema “Massoneria” si lascia intendere che non è facile applicare il can. 1374 (che invoca una giusta pena per chi si iscrive ad associazioni che macchinano contro la Chiesa) a meno che la competente Autorità ecclesiastica universale e particolare indichi chiaramente quali organizzazioni rientrano in quel canone...[16]
Mi chiedo: perché in quel commento non è stata citata anche la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1983 che ribadisce l’incompatibilità tra l’essere massone (qualunque Massoneria si tratti) e l’essere cattolico?

Insomma sono del parere che la crisi della Chiesa, ieri come oggi, risalti anche dal diverso atteggiamento dei Prelati nei confronti della Massoneria.





[1] Cf. Congregazione Plenaria della Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico, Libera Muratoria (c. 2335 CIC 1917), Città del Vaticano 20-29 ottobre 1981, Traduzione dal latino di P. Zbigniew Suchecki OFMConv, in GRIS, Religioni e Sette nel mondo – 1. Chiesa Cattolica e Massoneria, n. 1/2008, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, p. 179 (175-248).
[2] Cf. ivi, pp. 192-197.
[3] Cf. ivi, pp. 199-202.
[4] Cf. ivi, pp. 206-207.
[5] Cf. ivi, pp. 224-228.
[6] Cf. ivi, pp. 223-224.
[7] Ivi, p. 180.
[8] Cf. ivi, pp. 181-182.
[9] Ivi, p. 182.
[10] Ivi, p. 183.
[11] Ivi, p. 205.
[12] Cf. ivi, p. 215.
[13] Ivi, p. 216.
[14] Ibidem.
[15] Cf. ivi, pp. 217-220.
[16] Il canone 1374 del C.I.C. del 1983, tuttora vigente, afferma: «Colui che dà il nome a un’associazione che macchina contro la Chiesa, sia punito con giusta pena; colui invece che promuove simile associazione o la modera sia punito da interdetto».  Riporto di seguito il commento al can. 1374, secondo il volume edito da mons. Pinto (LEV, 2001). L’autore sbaglia il numero del canone: è il 2335, non il 2235:
«Il problema della affiliazione ad una società contro la Chiesa non sembrava ormai che dovesse essere affrontato con sanzioni penali, tanto che lo schema aveva previsto l’abrogazione del can. 2235 del CIC 17, che nominava specificamente le sette massoniche ed altre associazioni simili. Anche in fase di riesame, dopo la consultazione, erano venuti dei suggerimenti per supplire alla omissione; e poiché da più parti veniva considerato come abrogato il can. 2235, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva dovuto emanare il 17 febbraio 1981 una Dichiarazione, in cui si affermava che la disciplina del CIC 17 sulle sette proibite restava quella del can. 2235, finché non fosse stato promulgato il Codice. Si deve a questo intervento se nel Codice sia stata conservata la norma penale, anche se attenuata, che proibisce l’iscrizione a sette che tramano contro la Chiesa. È scomparso il riferimento esplicito alle sette massoniche, che erano considerate come il prototipo di tali associazioni ed è stata mutata la scomunica l.s., riservata semplicemente alla Santa Sede, con una pena precettiva indeterminata,  per quelli che solo si iscrivono, e con l’interdetto f.s. per coloro che promuovono o dirigono tali associazioni. La norma è troppo generica e non sarà di facile applicazione; infatti stabilire quale e quanta sia la pericolosità di una setta nei confronti della Chiesa, praticamente non sarà facile, salvo i casi in cui nominativamente venissero comprese sotto il can., dalle competenti autorità ecclesiastiche sia a livello universale che particolare» (Commento al Codice di Diritto Canonico, A cura di Mons. Pio Vito Pinto, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 20012, p. 814).

lunedì 4 settembre 2017

La Massoneria negli «Acta» del Concilio Ecumenico Vaticano II

P. Paolo M. Siano

La Massoneria negli «Acta» del Concilio Ecumenico Vaticano II

Negli «Acta» del Concilio Ecumenico Vaticano II (Acta et Documenta ed Acta Synodalia) si parla di Massoneria, ma non sempre nella stessa direzione. Ecco, in sintesi, alcuni dati sull’argomento[1].

Nel testo «Doctrinae capita» della Commissione Antepreparatoria (1961) del Concilio, nel capitolo «De erroribus damnandis» (gli errori da condannare) leggiamo al n° 31 (grassetto mio):
«Condemnamus omnem persecutionem contra Iudaeos propter eorum religionem vel ob rationes ethnicas; attamen non possumus oblivisci facta praeterita et affirmationes claras ludaismi Internationalis: duces huius Iudaismi a saeculis conspirant contra nomen catholicum modo methodico et odio immortali. Ad hoc serviunt Secta Massonica et communismus»[2].

Tra i «De erroribus damnandis», al n° 58 c’è la Massoneria. In quel numero la Commissione Antepreparatoria riassume in 6 punti le proposte dei Vescovi e la documentazione riguardante la «Secta»[3]

1)     Condannare la «Secta» dei Massoni (così chiedono circa 46 Prelati).

2) Il canone 2335 (del Diritto Canonico promulgato nel 1917) non distingue tra i Massoni che aderiscono davvero alla Setta e quelli spinti invece da motivi economici (così afferma Mons. Dantas, Vescovo di Garanhuns, Brasile).

3) La pena del can. 2335 sia solo per gli adepti pertinaci, non per quelli che entrano in Massoneria per ignoranza, per curiosità o per necessità lavorative o familiari (così propone Mons. Ahumada, Vescovo di Tampico, Messico).

4) Ci sia un solo di modo di agire verso la Setta massonica (così propone Mons. Costa, Vescovo di Caetité, Brasile).

5) L’«Ordo Massonicus» si oppone assolutamente all’«Ordini Catholico», attesta Mons. Gerardo Proença Sigaud (Vescovo di Jacarezinho, Brasile) il quale lamenta che nella Chiesa c’è ignoranza (molti Prelati non vedono, ignorano...), anzi sembra che ci sia «tregua» nei confronti della Massoneria la quale invece è molto potente e costituisce per la Chiesa un pericolo attualissimo  («Periculum est actualissimum»)[4].

6) Commutare la pena canonica ai Massoni o rivedere lo status quaestionis (così propone Mons. Alberto Gaudencio Ramos, Arcivescovo di Belem do Parà, Brasile).

Nel testo «De Laicis» della Commissione Antepreparatoria, nel paragrafo «de associationibus suspectis», al n° 11 è scritto:
«Utrum societas “franco-murariorum” in singulis regionibus prohibenda sit an non relinquatur aestimationi Ordinarii loci»[5]. 

Nel 1959 il Vicario Apostolico dell’Islanda, Mons. Johannes Gunnarsson aveva chiesto che agli Ordinari del luogo venisse data facoltà di proibire o no ai loro fedeli l’adesione alla Massoneria[6]. Chiedeva praticamente di “scavalcare” il can. 2335 che invece comminava ipso facto la scomunica (latae sententiae) ai cattolici che aderivano alla Massoneria, cioè nell’atto stesso della loro adesione o iniziazione.

Altro piccolo passo pro-massonico: nel testo definitivo approvato in Sessione Generale tra l’11 e il 16 dicembre 1961, la Commissio de Disciplina Cleri et Populi Christiani propone che la scomunica latae sententiae prevista dal can. 2335 (ai cattolici che aderiscono alla Massoneria) sia commutata in una pena ferendae sententiae  riservata all’Ordinario[7].


Segnalo un episodio interessante. Il 16 giugno 1962, nella discussione sul Sacramento della Penitenza, il Card. Alfredo Ottaviani si lamenta di quanto si dice di negativo sul conto della Congregazione del Sant’Ufficio di cui è Segretario.  Ottaviani (forse in tono un po’ stizzoso e un po’ ironico) afferma che a giudicare da certe critiche, lui viene visto quasi come una forma di «massoneria», al che egli osserva che se il Sant’Ufficio fosse «massoneria», allora il «primus massonis» sarebbe il Sommo Pontefice (che all’epoca ne era il Prefetto) e massoni sarebbero i Cardinali e Consultori del Sant’Ufficio. Ottaviani spiega che se si dà un significato «ordinario» al termine «maçon» (cioè, muratore, costruttore) allora in tal caso egli si riconosce “massone” nel senso che opera alla riedificazione della Chiesa:
«sumus massones quia laboramus omnes pro aedificatione edificii Sanctae Matris Ecclesiae et pro reparatione eorum quae in ipso aedificio reparanda sunt, quia est semper societas humana»[8].

E passiamo al Concilio. Il 6 dicembre 1962,  durante la 35a Congregazione Generale del Concilio Vaticano II, Mons. Sergio Mendez Arceo, Vescovo di Cuernavaca (Messico) tratta del tema Massoneria. Mons. Mendez Arceo afferma che i ministri di culto e i cristiani non cattolici che appartengono alla Massoneria, se venissero meglio conosciuti e amati dalla Chiesa Cattolica, potrebbero essere un valido strumento per eliminare dalla stessa Massoneria qualsiasi  carattere anticristiano e anticattolico... Mendez Arceo auspica la riconciliazione tra Chiesa e Massoneria[9].

            Nel commento sullo schema “De Ecclesia”, l’Arcivescovo di Taranto Mons. Guglielmo Motolese afferma, senza mezze misure, che materialismo marxista, laicismo e «massoneria» sono errori «perniciosissimi» che aggrediscono da ogni parte le anime dei fedeli[10].

            Il 20 novembre 1963, alla 71a Congregazione Generale, ancora Mons. Mendez Arceo afferma che nella Massoneria ci sono non pochi anticristiani, ma ci sono moltissimi cristiani che aderiscono al Dio rivelato (biblico) e che non cospirano contro la Chiesa né contro l’autorità civile. Secondo il presule messicano tra questi massoni cristiani ci sono coloro che desiderano le parole della Chiesa...[11]

            Il 28 settembre 1964, alla 89a Congregazione Generale, il Card. Ernesto Ruffini attacca la Massoneria definendola setta pericolosa, ma il giorno dopo, alla 90a Congregazione Generale, ancora Mendez Arceo ribadisce la sua posizione irenica e amichevole verso la Massoneria e ciò gli ottiene manifestazioni di plauso da massoni di tutto il mondo[12].
            L’intervento antimassonico del Card. Ruffini non mi sembra molto incisivo, forse anche perché tira in ballo gli Ebrei collegandoli alla «Secta»[13]; purtroppo la linea di Mendez Arceo ha buon gioco in quel clima conciliante e ancor più nel post-concilio.

            Il 20 settembre 1965, alla 131a Congregazione Generale, l’Arcivescovo Mons. Marcel Lefebvre, Superiore Generale degli Spiritani, cerca di far capire ai Padri conciliari che sul tema della libertà religiosa è in atto una strumentalizzazione massonica del Concilio («Concilium nostrum») come si rinviene appunto dal recente libro del massone Yves Marsaudon, “L’Œcuménisme vu par un Franc-Maçon de Tradition”, che Mons. Lefebvre cita nel suo intervento[14]. È proprio in quel libro delle Editions Vitiano che Marsaudon 33° definisce l’atteggiamento filo-massonico di Mons. Mendez Arceo come un segno dei tempi...[15]


Conclusioni.
Durante la fase antepreparatoria e lo svolgimento del Concilio, per quanto riguarda il tema Massoneria, possiamo riscontrare all’interno della gerarchia ecclesiastica almeno le seguenti posizioni nei confronti della «Secta Massonica»:

1a) una posizione antimassonica intransigente, in perfetta sintonia con il can. 2335 (es.: Ruffini, Sigaud, Lefebvre);

2a) una posizione antimassonica un po’ più “mite” che propone di limitare la censura del can. 2335 solo a quei massoni pertinaci, ossia a quelli che aderiscono alla Massoneria non per necessità economiche ma perché convinti dei princìpi massonici;

3a) una posizione antimassonica molto più blanda, che propone di trasformare la pena latae sententiae del can. 2335 in pena ferendae sententiae riservata alle autorità ecclesiastiche locali... Una tale linea decentralizzante potrebbe portare al paradosso di vedere l’appartenenza massonica vietata in una diocesi e permessa in un’altra diocesi magari anche confinante...

4a) una posizione apertamente morbida, conciliante, irenica, sostenuta chiaramente da alcuni Vescovi “di periferia” (troppo buoni, troppo ingenui, oppure agenti di strategie occulte?);

5a) una posizione “neutrale”, “silenziosa” (incline alla 4a ?).

Quel che è certo, è che ai massoni di ieri e di oggi non piace la 1a posizione...

Purtroppo è la posizione di Mons. Mendez Arceo (la 4a sopraindicata) a rivelarsi molto forte subito dopo il Concilio, specialmente nel periodo che va all’incirca dal 1965 al 1983, quando vari ecclesiastici europei e americani manifestano, da un lato, irenismo cordiale verso la Massoneria, dall’altro, contestazione palese o strisciante verso la Humanae vitae di Paolo VI e verso altri punti dottrinali.

Il 25 gennaio 1983 viene promulgato il nuovo Codice di Diritto Canonico in cui scompaiono il can. 2335 del Codice precedente e qualsiasi riferimento esplicito alla Massoneria. Il nuovo Codice entra in vigore il 27 novembre 1983, ma il giorno prima (26 novembre), la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), presieduta dal Card. Ratzinger, pubblica una dichiarazione con cui boccia di fatto la linea sostenuta in Concilio da Mons. Mendez Arceo. Pertanto: rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa su tutte le associazioni massoniche; i cattolici iscritti ad associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla S. Comunione; alle autorità ecclesiastiche locali non compete esprimersi sulle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto stabilito da quella dichiarazione della CDF [16].

Qualcuno potrebbe pensare che la partita è chiusa. Si sbaglia di grosso. Da quel novembre 1983 i Massoni e i loro alleati ecclesiastici non si sono arresi e proseguono tuttora nei loro comuni progetti...



[1] In questo mio articolo, nei limiti di circa 11.000 battute, seguo come testo base alcune pagine della relazione del Prof. P. Zbigniew Suchecki OFMConv., Massoneria e Diritto Canonico, tenuta a Modena l’8 febbraio 2014 (http://www.centroculturaleilfaro.it/files/Suchecki---Relazione-Chiesa-e-massoneria--Modena-2014-_57845870.pdf , pp. 13-14), a cui aggiungo altri dati da me rinvenuti e riflessioni personali.
[2] Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II Apparando, Series I (Antepraeparatoria), Appendix Vol. II, Pars 1, Typis Polyglottis Vaticanis, 1961, p. 212 (sigla: AD). Citerò gli Acta indicando: sigla, numero di serie, volume, parte, anno di pubblicazione, numero di pagina.
[3] Cf. AD, I, Appendix II/1, pp. 228-229.
[4] Cit. da Suchecki, p. 13, nota 66.
[5] AD, I, Appendix II/1, p. 794.
[6] Cf. AD, I-II/2, 1960, p. 528.
[7] Cf. AD, II-III/1, 1969, pp. 413-415.
[8] AD, Series II, Vol. II, Acta Pontificiae Commissionis Centralis Preparatoriae Concilii Oecumenici Vaticani II, Pars 2, Typis Polyglottis Vaticanis, 1967, p. 129.
[9] Cf. Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani Secundi, Vol. I, pars. 4, Typis Polyglottis Vaticanis, 1971, p. 341 (sigla: AS). Citerò l’opera indicando: sigla, volume, parte, anno di pubblicazione, numero di pagina.
[10] Cf. AS, I/4, p. 535.
[11] Cf. AS, II/5, 1973, pp. 617-618.
[12] Cf. J. A. Ferrer Benimeli – G. CaprileMassoneria e Chiesa Cattolica, ieri oggi e domani, Ed. Paoline, Roma 1979, pp. 87-88, p. 89 nota 65.
[13] Cf. Suchecki, p. 14 nota 69.
[14] Cf. AS, IV/1, 1976, p. 410.
[15] Cf. Y. Marsaudon, L’Œcuménisme vu par un Franc-Maçon de Tradition, Editions Vitiano, Paris 1964, p. 25.
[16] Cf. Acta Apostolicae Sedis 76 (1984), p. 300.

venerdì 2 giugno 2017

Un poliziotto “francescano” contro il «Mostro di Roma» (1927-1929)


P. Paolo M. Siano

 

Un poliziotto “francescano”

contro il «Mostro di Roma» (1927-1929)

 

«In un certo senso ognuno di noi è pertanto un poliziotto-nato, per la propria costituzione psicofisiologica ereditaria [...]. Possiamo cioè non conoscere qualche cosa, ma non vi è nulla di occulto; col tenace lavoro tutto si può sapere»[1] (Commissario-Capo Giuseppe Dosi)

 

 * * *

 

1. Brevi note biografiche     

Giuseppe Dosi (1891-1981) è stato un brillante investigatore della Polizia italiana in servizio dal 1912 al 1956. Nell’arco di 43 anni ha vissuto successi investigativi, promozioni (Delegato di PS, Commissario, Commissario-Capo, Vice-Questore, Questore, Capo dell’Interpol italiana, Ispettore Generale Capo) ma anche grandi sofferenze. Tra il 1927 e il 1941, a causa della sua tenacia e perspicacia nelle indagini sul «Mostro di Roma» (che indicherò con la sigla: MdR), ha subìto da parte di superiori: trasferimenti; sospensioni dal servizio e dallo stipendio (con grandi disagi familiari); ostruzione alle indagini; controlli e pedinamenti; scassinamento della scrivania del suo ufficio (al Ministero degli Interni, Divisione Affari Generali e Riservati – DAGR) da parte di ignoti in cerca del suo dossier sul «Mostro di Roma»[2]; cacciato improvvisamente dal suo ufficio DAGR; sequestro di una sua pubblicazione; arresto, diffamazione, calunnia, internamento in un manicomio (per 17 mesi, dal 1939 al 1941)[3], perdita del lavoro di poliziotto... Con la liberazione di Roma (1944), in veste di giornalista e informatore sarà assunto dal Servizio di controspionaggio americano in Italia, e finalmente, grazie agli Alleati, nel 1947 (guarda caso, dopo la morte del Rev. Brydges, di cui parlerò più avanti) Dosi ottiene la riabilitazione nella Polizia italiana e ulteriori promozioni.

Per uno sguardo complessivo su questa storia avvincente (di cui si potrebbe fare un film!) segnalo anzitutto il libro autobiografico di Dosi, incentrato, come la sua carriera, sul caso MdR, “Il mostro e il detective” (Vallecchi editore, Firenze 1973). Rimando anche ai contributi raccolti nel volume, scaricabile on-line, “Giuseppe Dosi, il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana”, pubblicato nel 2015 dall’Ufficio Storico della Polizia di Stato a cura del Dr. Raffaele Camposano[4].  

2. Commissario Dosi  vs.  Rev. Brydges

Tra il 1924 e il 1927, a Roma, vengono seviziate 7 bambine (la più piccola, 18 mesi;  la più grande, 9 anni) di cui 4 rimangono uccise (per strangolamento o choc traumatico); probabilmente le altre 3 evitano la morte per circostanze fortuite che hanno costretto l’aggressore ad allontanarsi[5]. Tali delitti, attribuiti ad uno stesso individuo, il «Mostro di Roma», rischiano di minare la credibilità del Governo di Mussolini che promette all’Italia ordine e sicurezza. Autorità, stampa e opinione pubblica premono perché si trovi il colpevole, al più presto.

 

2.1. Breve cronologia delle indagini di Dosi

Nel 1927 Dosi, Commissario-Capo dalla Divisione Affari Generali e Riservati (DAGR) del Ministero dell’Interno,  riceve dal Capo della Polizia, Arturo Bocchini (1880-1940), l’incarico di occuparsi del MdR. Dosi esamina atti e verbali dei delitti e dei soprallugohi, esegue nuovi sopralluoghi, ascolta testimoni.

Verso il 24 aprile 1927, da Capri, il Commissario di PS Raffaele Ferraro informa Dosi di aver arrestato a Capri un pastore anglicano, il Rev. Ralph Lyonel Brydges [1856-1946], colto in flagrante mentre violentava una bambina inglese (Patricia, 9 anni). Trasferito a Napoli, difeso dall’Ambasciata britannica, poi scarcerato per «demenza senile», senza nessuna misura cautelare, Brydges lascia indisturbato l’Italia.  Dosi indaga coadiuvato in particolare dal maresciallo di PS cav. Angelo Bollici e giunge a trovare, contro il Rev. Brydges, ben 43 indizi che col passare del tempo diventano 90.

Il 02 maggio 1927 viene arrestato come MdR Gino Girolimoni (1889-1961), un mediatore di cause per infortuni, ma non tutti i poliziotti sono convinti della sua colpevolezza... Dosi entra in contrasto con alcuni suoi superiori di PS (soprattutto con Bocchini) e con la Questura di Roma che invece avevano sostenuto la colpevolezza di Girolimoni. Brydges viene “coperto”, pare, per motivi politici: è un ecclesiastico anglicano, suddito del Regno Unito col quale Mussolini vuole avere buoni rapporti[6].

Dopo 11 mesi di carcere, l’8 marzo 1928 Girolimoni, difeso dall’Avv. Ottavio Libotte, viene assolto dal giudice istruttore Rosario Marciano, dopo che anche il pubblico ministero Mariangeli ne aveva chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto. C’erano discordanze tra le varie testimonianze raccolte contro Girolimoni sia prima che dopo l’arresto. La notizia dell’assoluzione non riceve risonanza mediatica, per non compromettere la credibilità delle Autorità che lo avevano accusato[7].

Tra il 1927 e il 1928, vengono trasferiti i poliziotti che si sono occupati di Brydges: il Commissario Ferraro e i due brigadieri che lo hanno arrestato a Capri, poi il commissario Dosi e il maresciallo Bollici, che hanno indagato su di lui[8]. La scrivania dell’ufficio di Dosi al Ministero dell’Interno (DAGR) viene scassinata da ignoti in cerca del dossier sul MdR-Brydges che Dosi provvidenzialmente aveva lasciato a casa...[9]

Le indagini di Dosi vengono ostacolate,  ma dopo varie peripezie, riesce a venire assunto e protetto dal Consigliere Istruttore di Roma, il magistrato Rosario Marciano, il quale dopo le informative di Dosi, si convincerà a imputare Brydges come MdR[10]. Dosi riesce a scoprire che Brydges sta per ritornare, sia pure di passaggio, in Italia. E così il 13 aprile 1928, nel porto di Genova, con il mandato del Consigliore Istruttore Rosario Marciano, e l’ausilio di colleghi fidati (tra cui il Questore di Genova), Dosi ferma Brydges a bordo di uno scafo inglese diretto dal Sud Africa a Londra. Brydges viene arrestato e trasferito a Roma. Dosi vuol far perquisire anche altri luoghi legati alla presenza del pastore anglicano. Brydges viene internato nel padiglione criminale del nosocomio di Santa Maria della Pietà, poi viene dimesso e lascia definitivamente l’Italia (1929), sempre protetto dall’Ambasciata britannica di Roma[11].

Dosi scopre anche che verso il 1927 è avvenuto un tentativo depistaggio delle indagini da parte di un giornalista de “L’Italie” (Silvio M.) che è riescito a ottenere da Mussolini e dalla Polizia il permesso di consultare i verbali sui delitti e sui sopralluoghi... Sulla scena del delitto Leonardi (1927) vengono rinvenuti pezzi bruciati di un catalogo di libri inglesi e allegati al fascicolo, ma in seguito non vengono più trovati. Spariti! Dosi scopre che quel giornalista è nato a Malta, perciò è un suddito (agente?) britannico! Silvio M. cerca di convincere il giudice Marciano che il MdR non può essere Brydges (su cui Marciano stava istruendo il procedimento penale!), né Girolimoni (in precedenza accusato da Silvio M.), ma uno spazzino che lavorava vicino alla redazione del suo giornale...[12]

Poco dopo il delitto Leonardi, Brydges lascia Roma e va a Capri (1927), dove verrà arrestato in flagranza di pedofilia[13]. Dosi sospetta che quel Silvio abbia sottratto quei pezzi di cataloghi...[14] In seguito anche il magistrato Marciano verrà «inquisito, pedinato, diffamato» da coloro che volevano Girolimoni colpevole...[15]

Nel 1928, il famoso gesuita P. Tacchi Venturi, molto stimato da Mussolini, comunica a Dosi che (parole di Dosi) «il Vaticano era rimasto indignato per il trattamento di favore che, su intervento dell’ambasciata britannica, era stato prodigato, all’immondo pastore anglicano, delle cui sconcezze conosceva i dettagli!»[16].

Il 23 ottobre 1929, la Corte d’Appello di Roma assolve Brydges da ogni imputazione, anche dal reato di oltraggio al pudore [Roma, agosto 1925; Capri, aprile 1927][17]. Eppure (osserva Dosi), la Corte ammette che l’alibi di Brydges per il delitto Tagliaferri (agosto ’25) potrebbe essere falso e precostituito...[18]

 

 

2.2. Elementi investigativi sul Rev. Brydges

Nel corso delle sue indagini, Dosi scopre e raccoglie numerosi elementi sul conto di Brydges (che Dosi, ancora nel 1973, definisce «immondo pastore»[19]) di cui elenco solo alcuni:

 

 - Pedofilo notorio.

 Brydges è dedito all’alcol[20] ed è notoriamente un pedofilo molestatore di bambine (già in America). A Capri, il 23 aprile 1927 Brydges violenta una bambina inglese di 9 anni e fugge al sopraggiungere di una signorina che lo segnalerà alle Autorità. La bimba aveva arrossamenti ed escoriazioni alla zona pubica, come se fosse stata «succhiata»[21]. Poi la Polizia lo arresta in flagrante mentre cerca di violentare nuovamente quella bambina a cui succhia e morde i genitali, ed è così preso dalla passione da non accorgersi che in quel momento piombano su di lui il Commissario di PS Ferraro con due brigadieri e il podestà di Capri il quale è costretto a sferrargli un pugno per strappargli la bambina. Già il podestà, marchese Marino Dusmet, e il Commissario Ferraro intuiscono che Brydges possa essere il MdR[22] ! Almeno l’ultima vittima del MdR (la Leonardi-1927) fu – rileva l’autopsia – anche «succhiata»[23]. 

Il 27 aprile 1927 il Commissario Ferraro segnala Brydges ai superiori romani di PS, ma questi rispondono che non può essere il MdR anche perché è conosciuto favorevolmente dal console inglese... Eppure era notorio che Brydges molestava anche le bambine delle famiglie che frequentavano la sua chiesa anglicana in Roma. Intanto si preferisce seguire la pista Girolimoni, arrestato proprio pochi giorni dopo, il 02 maggio[24].  In una lettera del 1930 indirizzata a Dosi, il Dr. Raffaele Gasbarri, ex direttore generale di PS (già superiore e amico di Dosi), deplora che dopo l’arresto caprese non venne effettuata la necessaria perquisizione al domicilio romano di Brydges, in cui era impossibile non rinvenire elementi utili a identificare il MdR[25].

 

 - Presenza in Italia.

Brydges è certamente in Italia all’epoca dei 7 crimini romani; inoltre può essere stato anche sulla scena dello stupro di Celeste Tagliaferri (agosto 1925), avendo tutto l’agio di scendere da Cortina d’Ampezzo a Roma e poi risalire a Cortina d’Ampezzo dov’era in villeggiatura (senza esser visto né dalla moglie, assente, né dalla servitù impegnata con tanti clienti, data l’alta stagione estiva). A Roma, nell’agosto 1925, Brydges è riconosciuto da due signorine metodiste[26] mentre cerca di adescare delle bambine a Villa Borghese (Roma), poco dopo il caso Tagliaferri[27].  I delitti del MdR si sono svolti tra l’arrivo in Italia e la partenza dall’Italia del Rev. Brydges. Dopo, quei delitti non sono più avvenuti[28].

 

 - Sempre in giorni feriali.

Adescamenti e delitti del MdR non avvengono mai nelle domeniche e nei giorni festivi (giorni in cui Brydges era impegnato nel culto anglicano)...[29]

 

 - Descrizione fisica del mostro.

Brydges corrisponde alle descrizioni del MdR fornite da vari testimoni. Il MdR è un uomo alto, circa 1, 70 o più, di mezza età, piccoli baffi biondi, agile nei movimenti, ben vestito, elegante[30]; portava «occhiali a stanghetta di metallo bianco»[31]; non parlava romanesco ma italiano[32], «non capiva bene l’italiano»[33]; viso lentigginoso, scarpe gialle, colorito bruno,  più alto di Girolimoni «con baffi all’americana, brizzolati»[34]. Alcune testimonianze indicano il MdR come un giovane di 30-40 anni. Al riguardo Dosi osserva che Brydges si tingeva baffi e capelli (con una tintura fatta venire dall’Inghilterra), aveva pelle rosea, fisico aitante, camminatore, nuotatore, alpinista, guardaroba ben fornito, insomma capace di modificare il suo aspetto[35]. In effetti Brydges è alto 1,77, molto svelto nei movimenti, sebbene abbia 71 anni, ne mostra non più di 50-55, con cappelli bianco-biondicci, pelle semolata e sanguigna, corporatura robusta, nell’insieme appare giovanile. Talvolta usa occhiali a stanghetta[36].  Dosi osserva che per tentare di adescare una bambina piccola non era necessario un lungo discorso e varie testimonianze dicono che il MdR parlava italiano ma con accento straniero[37].

 

- Occhiali con stanghetta.

Il MdR viene visto con «occhiali con fusto bianco».  Nel perquisire il bagaglio di Brydges, Dosi rinvenne undici paia di occhiali, «fra cui uno con montatura in celluloide bianca!»[38].

 

- Un «fiumarolo».

Il MdR deve avere dimestichezza col fiume, muovendosi di sera, ai margini della corrente impetuosa, scavalcando un rigagnolo di fogna (es. scena delitto Berni)[39]. Al tempo dei delitti del MdR, Brydges era socio di una società romana di nuoto e frequentava assiduamente il fiume[40].

 

- I quattro fazzoletti.

            I quattro fazzoletti rinvenuti rispettivamente sui luoghi di quattro delitti sono simili a quelli rinvenuti nel bagaglio di Brydges durante la perquisizione (1928)[41].  Cito solo un reperto. Nel sopralluogo del caso Giacomini (31-3-1924) viene rinvenuto anche un fazzoletto colorato con cui il mostro aveva stretto il collo della piccola Emma. Era un fazzoletto di tipo “scozzese”, prodotto a Manchester (Inghilterra) e, all’epoca, a Roma non ce n’erano più in vendita[42]. Nel 1928, dinanzi a Dosi e a due magistrati, la cameriera valdese di Brydges depone sotto giuramento che conosceva quel fazzoletto avendolo lavato e stirato più volte in casa del suddetto pastore[43].

 

- Bottone.

Sulla scena del crimine del 31-3-1924, viene trovato anche un bottone d’osso bianco, diametro 16 mm, di mutande da uomo[44]. Dosi trova un bottone uguale nel bagaglio di Brydges[45].

 

- Alcuni luoghi frequentati.

Lydia, cameriera valdese dei Brydges, riferisce a Dosi che il suo padrone andava talvolta anche a Monte Mario e Piazza Cavour... Dosi osserva che proprio in quelle zone iniziarono i crimini del MdR[46].

 

- Pezzi di catalogo di libri ascetici inglesi.

Sul luogo del delitto Leonardi (1927) vengono ritrovati pezzi bruciati di recente di un catalogo di libri ascetici inglesi, simile a quelli che Brydges riceveva[47]. A Roma Dosi sequestra il catalogo di libri inglesi per l’anno 1928, che la libreria Mowbrary di Londra inviava ai primi di Quaresima ai 4 pastori anglicani cappellani in Roma. In effetti anche il delitto di Armanda Leonardi, 12 marzo 1927, coincideva con gli inizi della Quaresima[48].

 

- Valigetta quadrata ai lati.

Il MdR è stato visto con quel tipo di valigetta. Dosi scopre che si tratta di una valigetta chiamata “London”, usata da preti stranieri e cappellani militari. In effetti Brydges era stato cappellano militare del contingente britannico nelle Fiandre, durante la prima guerra mondiale,  e aveva una valigetta di quel tipo[49].

 

- Abito grigio puntellato di bianco.

Al tempo del delitto Carlieri, quell’abito di stoffa tipicamente inglese viene visto indosso al MdR. Dosi sequestrò quell’abito al portiere di un albergo di Capri a cui Brydges l’aveva regalato...[50]

 

- Taccuino.

Nel bagaglio di Brydges sequestrato da Dosi, c’è un taccuino con foglietti strappati, dove sono annotati:  la parola «Charlieri» (con l’acca), praticamente il cognome della seconda vittima; la parola “Col” (via del Colonnato, dove abitava Rosina Pelli), e l’annotazione precisa della casa della vittima («Piazza San Pietro-House, at end, big, old, 4 piano»[51].

 

- Capace di compiere i delitti del MdR.

Tale il giudizio del prof. Sante De Santis (psichiatra e docente universitario) sul Brydges arrestato e rinchiuso nel padiglione 18 del manicomio criminale romano[52]. Ma dopo tre mesi, Brydges è rimesso in libertà e parte per Toronto[53].

 

- Massone.

Ecco un particolare interessante, non evidenziato negli articoli on-line sul caso MdR: nella perquisizione della cabina di Brydges, tra i vari documenti personali del pastore anglicano, Dosi (che dice di  menzionarne solo alcuni) ha rinvenuto «un certificato della Gran Loggia Massonica, di New-York, dal quale risultava che il Brydges era iscritto, dal 1910, ad una loggia di quella metropoli»[54]. Brydges era anche membro della «Società protezione animali di Roma»[55].   Sul Brydges massone, Dosi non dice niente di più.

 

A questo punto aggiungo alcuni approfondimenti personali. Una società regia per la protezione degli animali è stata fondata a Torino nel 1871 da Giuseppe Garibaldi e lady Anna Winter. Nella fondazione ebbe parte anche il medico personale di Garibaldi, Timoteo Riboli[56]. Garibaldi e Riboli erano massoni. A Roma, Brydges ebbe contatti massonici?

 Mi chiedo anche: oltre alla cittadinanza britannica e al suo status clericale nella Chiesa Anglicana, anche l’appartenenza alla Massoneria, in quell’epoca, è stata per Brydges un “pass-partout” di impunità? I diplomatici britannici che si attivarono per proteggere il Rev. Brydges[57] (sono riuscito a rintracciarne i nomi), ossia l’allora Console di Napoli (dal 1927 al 1930) Victor Henry St. John HUCKIN (1880-1943) e l’allora Ambasciatore del Regno Unito in Italia, Sir Ronald William Graham (1870-1949) erano massoni? Domande, per ora, senza risposta.

 

È interessante notare che un giornale romano del 1924 (Dosi non precisa quale) asserì, circa l’assassino della bambina [Carlieri]: «l’ignoto mostro, recante in sé due immagini: quella dell’Angelo e quella di Satana!»[58]. Perché quel giornale ha fatto ricorso a una tale unione degli Opposti? Allusioni esoteriche...? Forse già si percepiva (o si sapeva?) che l’assassino appariva come una persona assai distinta e quasi “angelica” ? Un tale identikit psico-spirituale poteva applicarsi più al Brydges (ministro di culto anglicano) che al Girolimoni...

 

È interessante sapere che Dosi ha indagato anche sulla Massoneria. Nel dettagliato studio sull’Archivio Dosi, presso il Museo Storico della Liberazione (sito a Roma in Via Tasso, laddove c’era il quartier generale delle SS tedesche che fuggendo nel 1944 abbandonarono molta documentazione, poi recuperata da Dosi e consegnata agli Alleati), la Dr.ssa Alessia Glielmi (responsabile degli Archivi del suddetto Museo) annovera tra il materiale non ancora inventariato (II versamento, N. 22):

«22. “N. 15. I miei rapporti di non massone con la massoneria ed il suo Gran Maestro. Studi ed investigazione massoniche a Roma Parigi, Bruxelles, documenti e stampa massonica. Roma 1922/23, 1924/25”. Album con ritagli, manifesti, opuscoli sull’attività delle logge massoniche italiane ed europee. 1922-1945”»[59].

 

Dunque, dal 1922 al 1945, Dosi, non massone, ha avuto rapporti con la Massoneria e con un non precisato Gran Maestro, compiendo investigazioni in quelle tre città europee e raccogliendo documentazione massonica. Suppongo si tratti di materiale interessantissimo, purtroppo, al momento, non ancora inventariato. Attendiamo.

 

In un breve ma documentato saggio, il prof. Aldo Mola mostra che molti massoni erano inseriti nel Fascismo... Tra gli informatori dell’OVRA (la polizia politica segreta, dipendente dal Capo PS, Arturo Bocchini) figurava anche (secondo una lista) il Gran Maestro della Massoneria di Piazza del Gesù, Raoul Vittorio Palermi (1864-1948), poi il massone Mario Pistocchi, il mago e massone rosacrociano Giuseppe Cambareri (1901-1972)... Cambareri propose a Mussolini di usare la sua Fraternitas Rosicruciana Antiqua come strumento di collegamento col mondo anglo-americano e l’esperimento andò avanti almeno fino al 1938...[60]

Pertanto vien da chiedersi se all’interno della rete OVRA (dipendente da Bocchini, superiore della PS e quindi della DAGR cui apparteneva Dosi) qualche massone abbia influito su Bocchini per indurlo a render difficile la vita a Dosi, “colpevole” di perseguire un “Fratello” inglese... Chissà.

 

 

3. Fede, umanità e professionalità di un Commissario

Dosi è stato giustamente definito: «un uomo dalle mille doti, doti non sempre comprese ed apprezzate», «un grande poliziotto ed un investigatore come pochi», dotato di «caparbietà nel seguire una pista» e di «grande istinto» e «intuizione»[61]. Dosi non si è mai piegato «alle lusinghe politiche e alla logica dei comodi opportunismi»[62].

Dal libro autobiografico del 1973, emerge l’aspetto umano di Dosi, la sua grande esperienza di uomo e poliziotto, e anche la sua fede cristiana. Ha ricevuto buona educazione familiare, ha sempre fuggito da frasi scurrili, parolacce e bestemmie, pur avendo dovuto frequentare ambienti luridi quali quelli malavitosi[63].

Dosi crede, non nel Destino, ma in Dio e nella Sua Divina Provvidenza[64]. Ha ricevuto una sana educazione ed istruzione religiosa, conosce «il Vaticano e i problemi di quell’ambiente», e la fede cattolica gli è di grande aiuto e conforto. Dosi, cattolico, fa il suo dovere anche quando deve arrestare dei consacrati (es.: un frate novizio e studente di teologia alla Porziuncola, minorenne, ladro di monete antiche; e un prete di Assisi, omosessuale, adescatore di circa 37 ragazzi di cui abusava dopo avere somministrato loro certi liquori, che dava anche a suore...)[65].

Dosi ha goduto di «stima e benevolenza» anche da parte di Papa Pio XII al quale (quando era capo dell’Interpol) presentava tutti i suoi colleghi esteri, «anche protestanti e massoni» che giungevano a Roma per motivi di servizio o per gite di piacere[66].  Come Pio XII, anche Dosi ha avuto buoni rapporti col mondo ebraico dell’epoca[67].

Dosi è ben consapevole dei propri limiti[68] e degli insuccessi cui può andare incontro «magari troppo spesso e facilmente, anche il più diligente ed onesto ufficiale di polizia giudiziaria...»[69].

È un grande devoto di San Francesco d’Assisi, il «Poverello»,[70] definendolo persino suo «inspiratore» nelle indagini poliziesche e negli studi per la laurea universitaria conseguita quando era Commissario-Capo ad Assisi. Amico dei frati francescani di Assisi[71], Dosi è anche esperto cultore degli studi e dei luoghi francescani, socio della “Società Internazionale di Studi Francescani[72]. In un certo senso condividerà anche la povertà francescana restando senza stipendio (a causa della persecuzione subìta per le sue indagini sul MdR)[73], fino ad essere «ridotto in miseria, con molti debiti»[74].

Nel secondo dopoguerra, Dosi visita la tomba solitaria e desolata del suo ex superiore Arturo Bocchini (che Dosi chiama: «mio ostinato persecutore»), morto d’infarto nel 1940, mentre Dosi era internato[75]. Dosi gli porta dei fiori dandogli «generoso e sincero, un perdono cristiano»[76], a sua volta chiedendogli perdono dei propri «difetti di carattere» che – ammette Dosi – avevano potuto concorrere a provocargli i suddetti abusi (trasferimenti, sospensioni...)[77]. Con fede e umiltà, l’anziano Dosi commenta: «Siamo tutti “dottori”, ma ci dovremmo considerare ignoranti di tante cose, imperscrutabili, come la volontà di Dio...»[78].

Il credente non farà fatica a comprendere che, davvero, Dio e San Francesco hanno aiutato tanto il Dr. Giuseppe Dosi.



[1] G. Dosi, Le informazioni di Polizia, in Il Magistrato dell’Ordine, Anno VI, n° 8, 1 agosto 1929, p. 118
[2] L’episidio è descritto da Giuseppe Dosi nel suo libro Il mostro e il detective, Vallecchi editore, Firenze 1973, pp. 142-143.
[3] Commovente e preciso il commento di Ennio Di Francesco (già Primo Dirigente della Polizia di Stato, alto funzionario dell’Interpol e dell’Europol italiana) sull’ingiusto internamento di Dosi:
«Mi sono commosso leggendo presso l’Archivio Centrale di Stato, nel suo ormai logoro fascicolo personale, le 21 fitte sottili pagine della perizia psichiatrica scritte dallo zelante Ispettore Generale Alienista, Dr. Saporito, che con le sue interpretazioni lombrosiane costituirà la base della “dispensa dal servizio” di Dosi, con atto firmato dallo stesso Capo della Polizia. Nel fascicolo personale emerge una lettera in cui Dosi parla della sua famiglia, della disperazione che lo porta persino a pensare al suicidio. Altro che mobbing, concetto allora inesistente; tortura psicologica di un uomo caratterialmente tenace che non vuole piegare la sua ansia di verità alla supina obbedienza al Capo e al sistema. Nella silenziosa sala studio dell’Archivio Centrale di Stato mi sono sentito vicino a quel collega di tanti anni addietro che urlava dentro, quasi in un intimo percorso per entrambi catartico» [E. Di Francesco, Affinità di un Collega e Maestro, in R. Camposano (a cura di), Giuseppe Dosi, il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, Quaderno 2/2014, Ufficio Storico della Polizia di Stato, Roma 2015, p. 189 (181-200)].
[4] https://www.poliziadistato.it/statics/32/dosi_con_copertine.pdf. Contributi di: Alessandro Pansa (l’allora Capo della Polizia), Carlo Mosca, Raffaele Camposano, Maurizio De Giovanni, Maria Letizia Dosi, Alessia A. Glielmi, Ornella Di Tondo, Michele Di Giorgio, Natale Fusaro, Luca Guardabascio, Ennio Di Francesco.
[5] Segnalo anzitutto le 7 vittime rapite e stuprate dal MdR, di cui 4 uccise (2 nel 1924, 1 nel ’25, 1 nel ’27)[5].
- 31 marzo 1924 (sera): Emma Giacomini (4 anni e mezzo).
- 4 giugno 1924 (sera), Bianca Carlieri (3 anni e 8 mesi), rapita, ritrovata il giorno dopo, nuda, violentata, soffocata, morta per choc traumatico. Nessuna traccia di sperma suoi luoghi dei crimini.
- 24 novembre 1924: Rosina Pelli (4 anni), violentata (anche al retto) e uccisa.
- 30 maggio 1925: Elsa Berni (6 anni), strangolata.
- 26 agosto 1925: Celeste Tagliaferri (18 mesi), violentata.
- 12 febbraio 1926: Elvira Coletti (6 anni), violentata.
- 12 marzo 1927: Armanda Leonardi (9 anni), uccisa (asfissia o choc traumatico).
Sulla scena del caso Tagliaferri è rinvenuta un’impronta di scarpa cm 27,4 x cm 10,9, con suola a punta larga, semicircolare; simile impronta anche sulla scena delitto Berni. Dosi deduce che si tratta dello stesso individuo (Cf. G. Dosi, Il mostro e il detective, op. cit., p. 86).
[6] Cf. N. Fusaro, Giuseppe Dosi e l’arte dell’investigazione, in R. Camposano, Giuseppe Dosi, il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, op. cit., p. 152 (145-161).
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Gino_Girolimoni. Girolimoni non riuscirà più a riprendersi, nemmeno economicamente, da quella macchia di infamia. Morirà povero e solo nel 1961. Al suo funerale oltre ai pochi amici c’erano il suo avvocato storico Ottavio Libotte e il Dr. Giuseppe Dosi.
[8] Cf. G. Dosi, Il mostro e il detective, op. cit., pp. 145-146.
[9] Cf. ivi, pp. 142-143.
[10] Cf. ivi, p. 187.
[11] Cf. ivi, pp. 189-199.
[12] Cf. ivi, pp. 206-207.
[13] Cf. ivi, p. 162.
[14] Cf. ivi, pp. 207-208.
[15] Cf. ivi, pp. 272-273.
[16] Ivi, p. 213.
[17] Cf. ivi, p. 235.
[18] Cf. ivi, p. 239.
[19] Ivi, p. 71.
[20] Cf. ivi, p. 211.
[21] Cf. ivi, pp. 121-123, neretto mio.
[22] Cf. ivi, pp. 124-126.
[23] Cf. ivi, p. 95, neretto mio.
[24] Cf. ivi, pp. 125-126.
[25] Cf. ivi, p. 127.
[26] Cf. ivi, pp. 202-205, 210-211.
[27] Cf. ivi, p. 235
[28] Cf. ivi, pp. 162-163.
[29] Cf. ivi, p. 94. Dosi ritiene che il MdR fosse impegnato in quei giorni nelle cerimonie pubbliche della sua chiesa...
[30] Cf. ivi, pp. 74-80.
[31] Ivi, p. 81, neretto mio.
[32] Cf. ivi, pp. 87-89.
[33] Ivi, p. 157, neretto mio.
[34] Ivi, p. 158, neretto mio.
[35] Cf. ivi, p. 167, p. 240. Dosi osserva anche nel segnalamento descrittivo di polizia, si fa riferimento all’età apparente non a quella anagrafica (cf. ivi, p. 240).
[36] Cf. ivi, pp. 123-124.
[37] Cf. ivi, p. 178.
[38] Ivi, p. 161.
[39] Cf. ivi, p. 83.
[40] Cf. ivi, p. 85.
[41] Cf. ivi, p. 45, p. 82, p. 177, p. 197.
[42] Cf. ivi, p. 75.
[43] Cf. ivi, p. 76.
[44] Cf. ivi, p. 75.
[45] Cf. ivi, p. 197.
[46] Cf. ivi, p. 167.
[47] Cf. ivi, p. 43, p. 126, p. 192.
[48] Cf. ivi, p. 201.
[49] Cf. ivi, p. 175.  Il Canada ottenne l’indipendenza dal Regno Unito nel 1931 e con la costituzione del 1982 ebbe piena sovranità.
[50] Cf. ivi, pp. 160-161.
[51] Cf. ivi, p. 181, p. 194. A p. 194, Dosi scrive: «Ripeto che su una paginetta d’un taccuino scrisse: “Piazza San Pietro-House at end, big, old, Col... 4° piano” e sotto “Charlieri” (con l’acca)» (ivi, p. 194).
[52] Cf. ivi, p. 205.
[53] Cf. ivi, p. 209.
[54] Ivi, p. 193, neretto mio. Nella perquisizione Dosi rinvenne anche un certificato dell’esercito canadese rilasciato a Ottawa nel 1919, in cui si attestava che Brydges era stato capitano cappellano di classe A, dello stesso esercito.  Inoltre Dosi scoprì anche che con lettera raccomandata, il 03 luglio 1925 fu spedita a Brydges, da New York, un atto di “naturalizzazione” come cittadino degli USA. La missiva gli fu girata a Cortina d’Ampezzo il 24 luglio (cf. ibidem).    
[55] Ibidem. 
[57] Cf. G. Dosi, Il mostro e il detective, op. cit., p. 202.
[58] Cf. ivi, pp. 209-210, neretto mio.
[59] A. Glielmi, L'Archivio Giuseppe Dosi. Appendice documentaria, in R. Camposano, Giuseppe Dosi, il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, op. cit., pp. 213-214 (207-219).
[60] Cf. Aldo Alessandro Mola, Massoni e “rosacruciani”... a regime, in Gianfranco de Turris (a cura di), Esoterismo e Fascismo. Storia, interpretazioni, documenti, Edizioni Mediteranee, Roma 2006, pp. 43-47.
[61] Cf. N. Fusaro, Giuseppe Dosi e l’arte dell’investigazione, in R. Camposano, Giuseppe Dosi, il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, op. cit., pp. 155-156 (145-161).
[62] C. Mosca, Introduzione, in R. Camposano, Giuseppe Dosi, il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, op. cit., p. 10 (9-10). 
[63] G. Dosi, Il mostro e il detective, op. cit., p. 71.
[64] Cf. ivi, p. 85.
[65] Cf. ivi, pp. 214-218.
[66] Cf. ibidem.
[67] Cf. Ornella Di Tondo, Giuseppe Dosi, la polizia internazionale e la nascita dell’Interpol, in R. Camposano, Giuseppe Dosi, il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, op. cit., p. 94, nota 61 (67-112).
[68] Cf. G. Dosi, Il mostro e il detective, op. cit., pp. 269-270.
[69] Ivi, p. 219.
[70] Ivi, p. 220.
[71] Ivi, p. 221.
[72] Cf. ivi, pp. 242-243.
[73] Cf. ibidem.
[74] Ivi, p. 255.
[75] Cf. ivi, p. 267.
[76] Ivi, p. 268.
[77] Cf. ivi, p. 269.
[78] Ivi, p. 269.