martedì 27 gennaio 2015

La Croce, Il Foglio, il Gender e Voglio La Mamma: Intervista esclusiva al referente del Circolo Voglio la Mamma di Ferrara

E così finalmente abbiamo conosciuto Andrea Tosini, referente del Circolo 'Voglio la Mamma' di Ferrara.
La nascita di un circolo che rappresenta una delle novità più interessanti per la nostra città e dintorni non poteva che suscitare apprezzamento e desiderio di incontrarne i protagonisti.



A Ferrara è dunque attivo un circolo Voglio La Mamma. Quando è nato precisamente?

Il 18 maggio 2014, una domenica, durante la tappa ferrarese del tour di Mario Adinolfi. All'epoca il
tour di Voglio la Mamma era appena partito e tutti gli eventi avevano una dimensione, per così dire,
'familiare'. Da allora, però, l'interesse nei confronti del libro è cresciuto sempre di più e oggi Voglio
la Mamma è una realtà in continua espansione su tutto il territorio nazionale.

Quali scopi si prefigge e attraverso quali strumenti?

La nostra azione si svolge sul piano culturale. Vogliamo essere costantemente vigili contro i falsi
miti di progresso. Vogliamo difendere la vita umana dalle minacce di una mentalità, sempre più
diffusa, che considera le persone come cose, inoltre saremo al fianco delle mamme e dei papà
giustamente preoccupati per l'ideologia del gender che sempre più spesso trova spazio nelle scuole
frequentate dai loro figli.
Sbaglia però chi pensa che il nostro obiettivo sia solo quello di giocare in difesa. Vogliamo infatti
raccontare la bellezza e il coraggio del fare famiglia e del prendersi cura della vita umana,
specialmente nei momenti più critici e delicati. Non vogliamo essere una semplice realtà 'di
denuncia', vogliamo sentirci popolo. Su questo punto Adinolfi è stato molto chiaro durante il suo
tour 2014, e ha più volte ripetuto che “i nostri avversari sono club, noi invece siamo popolo”. È qui
che sta la nostra forza.


Mario Adinolfi alla presentazione di Voglio La Mamma a Ferrara nel Maggio scorso. La foto è presa dal profilo facebook del Circolo Voglio La Mamma di Ferrara

Avete eventi in programma a breve?

Animare il dibattito sui temi fondamentali – nascere, amare e morire - è il nostro obiettivo primario.
Lo faremo anche tramite presentazioni di libri e incontri pubblici. Il primo appuntamento è in
programma per il mese di marzo, quando Mario Adinolfi tornerà a Ferrara per una tappa del suo nuovo tour.

Qual è il vostro pubblico di riferimento?

Se i temi fondamentali sono nascere, amare e morire è evidente che si tratta di realtà che toccano la
vita di tutte le persone, nessuna esclusa. Il nostro popolo è costituito da tutti coloro che hanno a
cuore la difesa della vita e della dignità umana e della famiglia naturale.
L'uscita del quotidiano La Croce è un evento importante. A molti sembra un gesto spericolato.
C'è ottimismo sulla riuscita dell'impresa?
È senza dubbio una scelta molto coraggiosa, viste le condizioni dell'attuale panorama editoriale
italiano. I primi riscontri dalle edicole del Paese sono però molto incoraggianti. È un giornale
schietto, diretto e 'scomodo', a cominciare dal nome. Non esistono al momento in Italia dei giornali
paragonabili per contenuti e per impostazione. La Croce è un'esperienza da vivere e da valorizzare,
ed è molto bello vedere che tanta gente comune vi prende convintamente parte.

Adinolfi viene accusato di essere troppo filo cattolico. Addirittura Il Giornale lo ha definito
ultra-cattolico. Vi riconoscete in una definizione di questo tipo?

Affibbiare etichette simili, per le quali ci si guarda bene dal precisarne il significato, sembra essere
diventato uno sport nazionale in certe redazioni. La Croce è un giornale di cristiani – lo ha detto
Adinolfi nell'editoriale del primo numero – ma, ripeto, i temi trattati riguardano proprio tutti, a prescindere dalla fede religiosa.

Secondo qualcuno, ruberà qualche lettore al quotidiano Il Foglio, che su alcune battaglie
dava garanzie al lettore attento ai temi della famiglia e della vita. Adinolfi parte però da una
posizione politico culturale di riferimento alquanto diversa da quella del Foglio, non trovi?

Sì, ed è proprio questo il vero valore aggiunto. È la dimostrazione che se ci si pone umilmente e
coraggiosamente di fronte alle questioni fondamentali della vita le posizioni politiche e culturali
passano in secondo piano.

Potrebbe esserci secondo te effettivamente una concorrenza sul target lettori dovuta al fatto
che La Croce sembra un quotidiano semplice e comprensibile a tutti senza le finezze a volte
fin troppo ricercate del quotidiano di Giuliano Ferrara?

Gli stili dei due giornali sono molto diversi, così come diversa è la loro storia. Ma non è il caso di
fare dei confronti: La Croce vuole arrivare a tutti e raccontare, attraverso testimonianze reali, quali
sono i falsi miti di progresso e come essi ci riguardino direttamente, nel quotidiano.
Pensi che nella nostra città ci siano spazi di dialogo sui temi della famiglia con le istituzioni?
Gli spazi di dialogo si dovranno per forza di cose trovare, sono le sfide attuali che lo impongono.
Naturalmente la nostra azione si farà sentire anche su questo versante.

Adinolfi sembra un tipo molto battagliero anche perché su questi temi abbiamo visto che è
difficile avere un tono dialogante dati i pregiudizi ormai radicati nei più. Anche il vostro
circolo assumerà un atteggiamento combattivo?

Assolutamente. Saremo pacati e rispettosi ma altrettanto decisi e diretti nel parlare della realtà delle
cose. La verità va comunicata nel modo giusto, ma non si può parafrasare.

martedì 20 gennaio 2015

Cattolici, islamici,bestemmia: il direttore del Carlino risponde agli Amici del Timone


" Ai cattolici, seppur profondamente offesi dalle vignette di Charlie Hebdo, non è  passata nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di ammazzare i giornalisti" .Tra le lettere al direttore del Resto del Carlino Ferrara di oggi è stata scelta quella degli Amici del Timone sul caso Charlie, pubblicata anche sul nostro sito domenica scorsa. Il commento del direttore  : "Alcune vignette di Charlie Hebdo come quella che lei cita  hanno profondamente offeso la sensibilità di molti cattolici i quali  differentemente dai terroristi islamici non è passata nemmeno per k anticamera del cervello l'idea di ammazzare gli autori." Poi il direttore Cristiano Bendin  conclude,evidenziando ovviamente la matrice liberale del proprio giornale:"Ma in un paese libero c'è un semplice rimedio:non comprare il giornale". E noi ovviamente diciamo: speriamo che questa regola valga anche per tutti coloro che parlano o scrivono per esempio contro i matrimoni gay, che non rischino cioè  né  ora né mai un processo per omofobia. E che venga suggerito anche in quei casi a chi si offende di comprare o leggere o ascoltare altrove...


sabato 17 gennaio 2015

Bel Paese, bella Europa, cosa siete diventati?

Cosa stanno diventando  il nostro Bel Paese e la nostra bella Europa, o meglio, cosa sono diventati?
Ci riferiamo alle corali reazioni in seguito alle uccisioni per mano di islamici in Francia. Il quadro è deprimente e si può sintetizzare in un solo modo: un' indegna identificazione dell'Occidente con gli pseudo valori, o meglio, con i disvalori propugnati dal giornale satirico bersaglio degli attacchi islamici. Mettendo in secondo piano il massacro perpetrato da Boko Haram ( che significa : proibito il libro) in Nigeria, numericamente molto più grave, però con scarsa presenza di vignettisti dissacratori e con forte, poco gradita, presenza, di cristiani locali.
Vorremmo dire chiaramente che, da parte nostra, accanto alla tristezza per quelle uccisioni,non ci può essere appoggio o peggio, identificazione, con  persone che hanno perseguito l'uso sistematico della bestemmia come mezzo d' espressione e di diffusione del peggiore nichilismo e del disprezzo verso chi ad esso non si prostra.
L'Europa tutta difende un giornale che probabilmente continuerà a spargere il maleodore dell'insulto camuffato da libertà d' espressione e a trattare le religioni come sottoculture.
E' sufficiente, da parte nostra, andarci a rivedere, se ci regge lo stomaco, le vignette edite da Charlie ,ri-pubblicate allegramente in questi giorni dai Gesuiti, con insulti al Papa, a nostro Signore, alla crocifissione; alla stessa serie appartiene la Trinità versione sodomita,un' orrenda bestemmia, della quale ora gli stessi padri della Compagnia di Gesù sono gravemente colpevoli non solo di non averla contrastata, ma addirittura diffusa. VERGOGNA!
Cosa contrastata, per altro, dalle parole di papa Francesco, che proprio oggi, durante il volo per le Filippine ha detto queste parole:
". ..deve esserci un limite" e " ...se qualcuno offende mia mamma gli arriva un pugno". Ovviamente con identificazione mamma terrena e Mamma Celeste.
Confesso che il programma mi piace. Viva il Papa!!
Quindi, a chi mi chiede chi sono, devo rispondere:  io NON sono Charlie, ma:


                               
                              Je suis ASIA BIBI
                              Je suis MERIAM IBRAHIM
                              Je suis SHAZAD e SHANA MASIM

                JE SUIS NAZAREEN !!!

mercoledì 14 gennaio 2015

Fede e Ragione: il discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona


In questo momento in cui i rapporti tra società contemporanea, cattolicesimo e Islam sono particolarmente in discussione, riteniamo opportuno pubblicare  il discorso integrale che Joseph Ratzinger pronunciò a Ratisbona nel 2006, in cui Papa Benedetto XVI andò alla radice del problema.



Aula Magna dell’Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006


Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!

E' per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all'università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile un’esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue.[1] Fu poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano.[2] Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre "Leggi" o tre "ordini di vita": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano.  Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".[3] L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"[4]
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.[5] L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza.[6] In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.[7]
A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω”, con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era illogos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso.[8] Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo.[9] Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.
Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo, "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo „λογικη λατρεία“ – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).[10]
Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente  purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.[11]
La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.
La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento[12] e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico.
Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.
Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.
 Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.
Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è – Lei l’ha accennato, Magnifico Rettore – volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte delle decisioni essenziali dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.
Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno".[13] L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.

venerdì 9 gennaio 2015

Da noi si continua a deridere sempre e solo la Chiesa. Questi gli ultimi vili esempi a Ferrara e Bologna

Attaccare dei giornalisti armati solo di pericolose biro e matite colorate, ammazzare una inserviente di portineria, finire un poliziotto già agonizzante a terra. Questo è capace il cosidetto islam radicale. Può fare male solo a chi non può difendersi. E anche nei territori in cui impera, al massimo può fare azioni suicide o attaccare popolazioni inermi come yazidi e minoranze cristiani. Bel coraggio.

E in Italia invece cosa si fa? Almeno i francesi del giornale satirico assaltato a Parigi
 avevano il coraggio di deridere senza paura l'islam in un momento storico in cui tutti sapevano che
questo avrebbe comportato dei rischi. Certo,  quel giornale derideva anche in modo abbastanza blasfemo la religione cristiana senza correre in quel caso alcun pericolo. Ma intanto il coraggio di esporsi al rischio di ritorsioni contro la religione Islamica, la più pericolosa al mondo per numero di morti causati, glielo si deve attribuire. Religione islamica che è il problema numero uno per il mondo attuale, bisogna ribadirlo come fa La Bussola Quotidiana, senza farsi sviare da chi crede in un Islam moderato o conservatore come la Turchia. Sempre secondo il prestigioso quotidiano cattolico gli unici modelli che reggono sono quelli a guida di generali come l'egiziano Al Sisi che coraggiosamente ha dichiarato una guerra senza tentennamenti al suo stesso mondo religioso.

In Italia invece ci si ferma alla derisione del Vescovo. E del Cristianesimo.
In Italia oltre non si va mai.
A Ferrara è' proprio di questi giorni infatti la diffusione Internet di una
vignetta-volantino in cui viene esplicitamente beffeggiato il nostro Pastore mentre si pubblicizza un concerto in un locale dell'Arci, l'associazione culturale della sinistra che gestisce numerosi pub  e spazi ricreativi in città.

L'Arci provinciale ha poi negato la propria responsabilità, ma ha ammesso di conoscere perfettamente
chi ha fatto il volantino ("è una persona che collabora con noi da tanto tempo" ha detto il presidente
Arci)  con tanto di foto di Mons. Negri che regge in mano una barbie. I legami tra Arci e vignettisti sono talmente stretti che dopo le polemiche è stato fatto correggere il volantino togliendo l'immagine del Vescovo. Si può anche dire che Charlie Hebdo firmava e pubblicava vignette a suo nome, qui si pubblicano vignette offensive a nome di una associazione nazionale importante per poi rimpallarne la responsabilità. Doppia viltà tipicamente italiana.

Molto più grave e ugualmente carico di ambiguità invece il fatto di Bologna dell'ultimo dell'anno.
In piazza Maggiore è stato scelto dal Comune, a guida PD, come fantoccio da bruciare un grande

mostro con una croce sulla fronte, commissionato ad un cosiddetto artista locale. Ci si chiede perchè come simbolo di mostruosità si alluda, con l'appoggio delle istituzioni, esplicitamente alla religione cristiana, in un periodo in cui migliaia di martiri cristiani sono stati e sono invece perseguitati in modo ormai evidente. Che dire:se non altro,  meglio sbeffeggiati che ignorati, meglio irrisi sui volantini che incensati dal mondo di oggi.....

A.Mezzaro

giovedì 8 gennaio 2015

S. Rosario per la Vita

Segnaliamo questa importante iniziativa diocesana per la Vita.
Nella locandina qui sotto tutti i dettagli.


sabato 3 gennaio 2015

Ecco la lista completa delle offese a Messori scritte su Avvenire. Che dimentica qualcosa sul digiuno di Pannella.

Dopo l'articolo di Vittorio Messori sul Corriere della Sera, che invitiamo tutti a rileggere per verificarne la correttezza ed il modo garbato che del resto gli sono propri, il giornale Avvenire ha risposto con un editoriale in seconda pagina in cui il direttore del quotidiano della CEI riversa una serie di  giudizi veramente severi sul più noto scrittore di apologetica cattolica italiano vivente.
Ecco la lista completa delle offese, tutta compresa in uno stesso articolo di 4 colonne:

  1. RUVIDO : "Ruvida uscita prenatalizia" (in prima pagina)
  2. CONGENATORE DI MOSSE : "Mossa congegnata per far rumore con la pretesa di segnare il Natale ormai alle porte"
  3. PROVOCATORIO: "si lancia nell'impresa di dare provocatoria voce ad un presunto cattolico medio"
  4. INCONSISTENTE E RETORICO: "dell'inconsistenza dell'artificio retorico della dichiarata medietà critica di Messori"
  5. INFONDATO
  6. INELEGANTE
  7. CAPZIOSO
  8. MIRA A FAR DEL MALE E AD AMPLIFICARLO "davanti a polemiche che giudico infondate, ineleganti e mirate in modo scoperto e capzioso a far del male e ad amplificarlo"
  9. ECCITATORE DI DIVISIONI "l'articolo di Messori sia un mezzo per eccitare divisioni"
  10.  ANIMOSO,MALIZIOSO, MALIGNO: "..sequela di animosità,malizie e malignità ."
In seguito poi Avvenire si scandalizza perchè Messori avrebbe definito Pannella uno che digiuna per valori che sono contrari alla vita. Cosi scrive il direttore nello stesso articolo:
 "Marco Pannella non era protagonista di un innocuo digiuno per aborto,eutanasia,omosessualità per tutti ma era a rischio della vita a causa di uno sciopero della sete contro la scandalosa situazione di vita nelle carceri italiane."
Vero. Peccato però che in Aprile il comitato dei Radicali Italiani, nel lanciare il digiuno contro la situazione delle carceri che Pannella e altri hanno attuato, abbia subito dopo esplicitamente plaudito   al successo a favore della fecondazione eterologa. Ecco il comunicato dei Radicali Italiani:

Si nota che immediatamente dopo aver lanciato il digiuno per le carceri il Comitato si compiace della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la legge 40:

  
Davvero Messori sbaglia ad ipotizzare che questi digiuni non abbiano niente a che fare con le battaglie anti-vita dei Radicali?

E concludendo fa ancora più dispiacere  l’iniziativa di raccolta di firme in difesa del vescovo di Roma da parte dei cosiddetti preti con le stole arcobaleno: Santoro, Zanotelli, Ciotti, Farinella, Bizzotto che arrivano a definire l’articolo di Messori  un avvertimento mafioso riconducibile a gerarchie vaticane di cui il giornalista sarebbe solo il mandante..........sic! (senza contare quelle di Boff cui ha risposto magistralmente Mons. Livi). Tipico linguaggio da dietrologi da comizio ma che poco ha che fare con la Chiesa che proprio Papa Francesco vorrebbe. Allora c’è da chiedersi se l’articolo di Messori sia davvero un attacco frontale o visti i tempi un invito alla preghiera (come noi pensiamo)?. Proprio quella preghiera, fondamento della nostra Fede, che i contestatori hanno sostituito con i comizi, con la voglia di apparire e di fare polemica gratuita.