giovedì 20 giugno 2013

Gli schiavi del XXI secolo: Cina e India espropriano le terre dei contadini africani con il Land Grabbing


Il Land Grabbing


Gli “Schiavi del XXI° secolo” hanno a che fare anche con  il fenomeno del “Land Grabbing”, realtà dai più poco conosciuta ma che sta causando grandi sofferenze a migliaia e migliaia di persone….ovviamente povere. La scarsa conoscenza su questo fenomeno deriva probabilmente dal fatto di essere designato con un “inglesismo” che contribuisce a renderlo un concetto tecnico ed estraneo.

 Letteralmente land grabbing significa “accaparramento delle terre” ossia quando una larga porzione di terra considerata “inutilizzata” è venduta a terzi, aziende o governi di altri paesi senza il consenso delle comunità che ci abitano o che la utilizzano, spesso da anni, per coltivare e produrre il loro cibo. Uno scandalo che esiste da molti anni, ma che dallo  scoppio della crisi finanziaria è cresciuto enormemente, spingendo nella fame migliaia di contadini del Sud del mondo. Dal 2008, cioè dallo scoppio della crisi finanziaria, il fenomeno del land grabbing è cresciuto del 1000%  ed partito in primis per iniziativa della Daewoo, multinazionale sudcoreana, che in Madagascar era riuscita ad ottenere, in comodato gratuito per 99 anni, un'estensione di terra grande come il Belgio. Il motivo: garantire alla Corea del Sud la fornitura di cibo in vista di un futuro incerto. In seguito vari altri paesi come l’India, Cina, Arabia Saudita, Qatar hanno seguito l'esempio garantendosi terre soprattutto in Africa, ma anche nel Sud Est asiatico (Cambogia, Laos, Filippine, Pakistan, Indonesia) per la produzione di derrate agricole destinate ai propri paesi, sia per motivi alimentari che per la produzione di bio-etanolo.




Terreni che prima davano cibo e rifugio a molti sono recintati e rimangono inutilizzati. Il settanta per cento di acquisizioni di terre attualmente avviene nell’Africa Sub-Sahariana. E proprio in Africa, più che in ogni altro continente, i paesi stranieri possono approfittare di governi poveri e corrotti, che in cambio di denaro, tecnologie e infrastrutture, non esitano a vendere il loro bene più prezioso, che è da solo ricchezza e disgrazia del continente: la terra.

Per “acquisizione” si intende il fatto che le terre vengono concesse in locazione per lunghi periodi o addirittura cedute, letteralmente vendute. Ad esempio in Africa il prezzo di acquisto o di affitto a lungo termine (il contratto, rinnovabile, va da 50 a 99 anni) per un ettaro di terreno varia da 2 a 10 dollari. Il sistema di gestione della terra è basato su regole informali e tradizionali, riconosciute localmente ma non dagli accordi internazionali, e senza alcuna certezza dei diritti fondiari; nessun contadino africano può imporsi e provare a possedere un terreno. Più del 90% della terra non è legalmente regolamentata, il diritto di proprietà riguarda dal 2 al 10% delle terre. Quasi il 50% dei contadini coltiva meno di un ettaro di terra e quasi il 25% ha accesso ad un appezzamento più piccolo di un decimo di ettaro.


 Il report “Secure Land Rights for All” realizzato dal programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (United Nations Human Settlements Programme Un-Habitat) e dal Network Global Land Tool, stima che 5 milioni di persone ogni anno subisce espropri di terra; connesso a questo c’è ovviamente il diritto di proprietà, di avere una propria casa, una propria terra coltivabile, e indirettamente i diritti di residenza, di accesso alle risorse naturali, alla sussistenza, al lavoro, alla libertà di movimento. Il caso più eclatante è quello della Cina che, sotto la pressione di una crescita demografica che non sembra arrestarsi, è alla ricerca sfrenata di risorse alimentari e minerarie che le permettano il mantenimento del suo odierno trend di crescita economica; la Cina ha così iniziato la sua ricerca di terre e risorse: il boom di acquisti è avvenuto ovviamente in Africa: 2.800.000 ettari in Congo, 2.000.000 di ettari in Zambia, 10.000 in Camerun, 4.046 in Uganda e solo 300 ettari (ma siamo all’inizio) in Tanzania.

Accanto alla Cina c’è un altro grande bisognoso di terra: l’India. 50.000 ettari in Laos, 69.000 in Indonesia, 10.000 in Paraguay, 10.000 in Uruguay, ben 614.000 ettari in Argentina, 370.000 ettari in Etiopia, 232.000 ettari in Madagascar e 289.000 ettari in Malesia. Quali i risultati di questo accapparamento famelico? Beh è facile intuirli…Le comunità locali sono scacciate dalle terre che davano loro da mangiare da generazioni, private dei loro mezzi di sussistenza, le famiglie di contadini sono costrette all’esilio forzato. Le coltivazioni su grossa scala hanno bisogno di poca mano d’opera e così solo pochi di loro trovano un lavoro, per un salario da fame che non basta a sfamare la loro famiglia. Chi è riuscito a conservare le proprie terre non se la passa meglio: i corsi d’acqua sono prosciugati a causa degli enormi bisogni d’irrigazione delle grande coltivazioni, oppure inquinati dall’uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi.

Nei paesi in cui l’insicurezza alimentare è una costante preoccupazione, l’esportazione di derrate alimentari verso l’estero aggrava ancor più la penuria di cibo e fa aumentare i prezzi. Le famiglie, già private della terra che li nutre, finiscono sempre più nella precarietà. Non a caso l’aumento di fame e povertà nei paesi in via di sviluppo coincide con gli appetiti finanziari ed espansionistici dei paesi promotori di questo neocolonialismo moderno.

Tutto questo tuttavia non ci deve lasciare indifferenti ed inerti. Ma come fare..?.  Il Santo Padre in questi ultimi tempi ci invita ripetutamente ad un ripensamento delle soluzioni politiche ed economiche in particolare ci sollecita a ripensare alla solidarietà non come mera assistenza, ma come sovrana forma di partecipazione di tutti e di ciascuno alla promozione dei beni comuni. Beni che non si risolvono in una qualsiasi funzione di utilità/felicità collettiva, ma nell’impegno personale a perseguire la «via istituzionale della carità». Quindi come dice Papa Francesco è importante restituire alla nozione di «solidarietà» la dovuta «cittadinanza sociale», assumendola non come un di più da elargire con compassionevole generosità, quanto piuttosto di interpretarla e di implementarla per via istituzionale come “via maestra” dell’azione di governo. 

E se ci pensiamo bene l’unico modo per bloccare il land grabbing, è implementare il suo opposto ossia la solidarietà (quella evangelica) che per definizione non accaparra ma distribuisce. Ed è sempre il Santo Padre che con la Parola di Dio ci indica la Via da seguire come ci ha insegnato nella stupenda riflessione che ha tenuto il giorno della Solennità del Corpus Domini commentando il brano del Vangelo sulla Moltiplicazione dei pani e dei pesci

Il Papa infatti  ricorda come “Gesù invita gli stessi discepoli a sfamare la moltitudine ma di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! . Ma la soluzione di Gesù va in un’altra direzione, una direzione che sorprende i discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». La risposta sta nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere. Che cosa condividono i discepoli? Quel poco che hanno: cinque pani e due pesci. Ma sono proprio quei pani e quei pesci che nelle mani del Signore sfamano tutta la folla. E sono proprio i discepoli smarriti di fronte all’incapacità dei loro mezzi, alla povertà di quello che possono mettere a disposizione, a far accomodare la gente e a distribuire – fidandosi della parola di Gesù - i pani e pesci che sfamano la folla. E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto”.
Crediamo che solo in questo modo e nel pensiero evangelico sia possibile ridisegnare l’idea di  «potere» e di «denaro», relativizzandoli, desacralizzandoli e rendendoli funzionali alla soluzione dei problemi dell’uomo. In questa prospettiva, la solidarietà diventa la prima virtù del vivere in società e il timone per una società più giusta.

Gli Amici del Timone di Ferrara


Bibliografia


  1. Daewoo Madagascar chez le President Ravalomanana, Madagascar Tribune, 31 ottobre 2008, in http://www.madagascar-tribune.com/Daewoo-Madagascar-chez-le,9707.html
  2. Song Jung-a, Christian Oliver, Tom Burgis, "Daewoo to cultivate Madagascar land for free”, Financial Times, 19 Novembre 2008
  3. Park S., Daewoo Logistics Says Farm Deal May Cost 6$ billion, Bloomberg.com, 20 novembre 2008, in http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601116&sid=a1anvJxPYq20&refer=africa

4.      Rapporto “Land grab or development opportunity?Agricultural investment and international land deals in Africa” di FAO, IFAD e IIED
  1. Dati: IFAD - Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo dell’ONU
6.      Food Crisis and the Global Land Grab: www.farmlandgrab.org
7.      Rapporto 2010 “Land grab in Africa-Emerging land system drivers in a teleconnected world” del GLP (Global Land Project)
8.      Rapporto “Secure Land Rights for All” del Un-Habitat delle Nazioni Unite e del Network Global Land Tool
9.     Li Ping, Hopes and strains in China’s overseas farming investments, Economic Observer, Pechino, 3 luglio 2008 (http://tinyurl.com).

domenica 2 giugno 2013

PERCHÉ LA LEGGE TEDESCA SUI BAMBINI NATI MORTI È IMPORTANTE

 
                                                                                                                                                         

La Germania ha approvato una legge con cui autorizza a dare un nome e una sepoltura ufficiale ai bambini nati morti.
L’intervento legislativo è molto importante per una serie di implicazioni, che attendono un adeguato sviluppo culturale e normativo:
1.      riconosce che l’esistenza umana non ha inizio con la nascita, bensì prima della nascita.  Infatti, solo chi esiste può avere nome e sepoltura; chi non esiste non può ricevere alcun nome, e chi non è mai esistito non può ricevere sepoltura;

2.      riconoscendo agli individui, concepiti e non ancora nati, una propria ‘esistenza’, la legge dice in maniera chiara che il nascituro non può essere considerato parte della madre (portio mulieris). Al contrario, dice che egli è ‘altro’ ― un essere umano dotato di una propria individualità ― rispetto a quel corpo che lo custodirà per circa nove mesi;

3.      riconoscendo ai concepiti una propria ‘esistenza’, la legge implicitamente pone le basi per un discorso di protezione e salvaguardia contro ogni comportamento che si proponga di portare loro offesa e danno;

4.      riconoscendo ai concepiti una propria ‘esistenza’, la legge si pone in linea con il Magistero della Chiesa, la quale insegna che l’origine della persona umana si ha nell’istante stesso del concepimento.  Pensiamo soltanto all’Evangelium Vitae, laddove si parla di “essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita” (n. 58), e ancora laddove si legge che “l'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento” (n. 60);


Amici del Timone Ferrara